"Mestieri scomparsi 6"

(Via Leonida Montanari 10, Laboratorio Carletto, ex sartoria)

 

 

Oltre che nel campo dell’edilizia qualcuno di loro negli anni ’60  trovò lavoro alla S.T.E.F.E.R  (Società tranvie e ferrovie elettriche romane), la Cotral di allora, ma all’occorrenza riparava scarpe a familiari e amici.

 

Dal 1970 fino al 1975 Dante Franciosi, classe 1933/34 fu apprendista da Faggio, poi abbandonò questa attività e divenne sacrestano presso il Santuario della Madonna del Tufo, rivelandosi un buon factotum per Padre Pietro. Di corporatura robusta e dal carattere buono e mite, restò nel Santuario fino alla morte, sopraggiunta nel 1990.

 

Giuvanninu Pizzicannella era un ciabattino che lavorava con U Roscettu;  piccolo di costituzione, questa sua caratteristica fisica gli fu fatale quando venne fatto prigioniero durante un rastrellamento dei Tedeschi durante il secondo conflitto bellico: non avendo un’adeguata prestanza fisica e  dimostrando scarsa forza, inadeguata a  sostenere i gravosi impegni imposti dagli ex-alleati, venne fucilato insieme ad altre persone: il suo nome è ricordato come disperso sulla lapide commemorativa vicino all’attuale Municipio in Corso Costituente.

 

Silvestro De Vietro, detto Tacco Flash ha iniziato dodicenne a lavorare a Tivoli e a Roma – rione Monti – e tra i suoi più illustri clienti vanta l’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando ancora non rivestiva la più alta carica dello Stato.

Nel 1997 si è trasferito a Rocca di Papa in un laboratorio in Corso della Costituente (foto a lato), dove ha lavorato per una decina di anni, passando poi a lavorare presso l’Ama. Quarantaseienne,  è il più giovane calzolaio vivente, oltre al nostro Carletto Verdini. 

 

E concludiamo questo lungo percorso sul mestiere dei calzolai e ciabattini raccontando la storia del simpatico Carletto.

 

Carlo Verdini

-          A tredici anni andavo al laboratorio di Peppe per rubare con gli occhi… eravamo in tanti, tutti intorno al suo deschetto, mentre lui metteva tacchi, risuolava scarpe, cuciva le tomaie e noi là ad ascoltarlo che raccontava le sue storie e a seguire le sue mani per non dimenticare le procedure giuste-

-          Oh nì, leva sti chiodini e reddrizzali-

-          Facevamo a gara per avere in mano quelle pinze per sfilare il chiodo e ribatterlo con martello e metti bollette ( un “piede” di legno ndr)  fino a raddrizzarlo: non si doveva sprecare nulla!  Quei chiodini erano di acciaio dolce, più malleabile.

Così inizia la bella chiacchierata con Carlo Verdini (foto a lato), classe 1932,   da tutti familiarmente conosciuto come Carletto, ultimo calzolaio di Rocca di Papa…  

Ciabattino, ci tiene a precisare lui, spiegando la differenza: il primo realizza e crea le scarpe su misura, il secondo le ripara.

Ma il nostro Carletto, ottanta anni portati egregiamente e con leggera disinvoltura, pecca di modestia: di scarpe su misura ne ha realizzate molte nel passato e con orgoglio mostra un paio di Duilia – eleganti scarpe lavorate a mano, a due colori, bianche e nere - costruite per se stesso anni fa:  39/40, eleganti e raffinate,  al punto che  Cristina Anellucci, fino a pochi anni fa proprietaria del calzaturificio in Via Duomo, ereditato dal padre, l’indimenticabile Trento, con un sospiro di nostalgia gli disse un giorno: - Mi fai pensare a papà che le portava di tutti i colori, bianche e blu, bianche e marroni, bianche e nere…-

Ma un difetto alle sue scarpe lo trova anche Carletto: sono juventine e per lui che è interista la cosa non va propriamente giù… ovviamente lo dice scherzando!

Peppe, Giuseppe Zoppi, gestiva la sua attività con la moglie Rina,  nel suo laboratorio in Corso Costituente, un locale che attualmente si trova tra l’oreficeria e l’ingresso del Municipio: là si lavorava tutti i giorni, domenica compresa, e il lunedì, giorno di chiusura che i calzolai condividono con i sarti e i barbieri,  i ragazzi apprendisti andavano a pulire e riordinare.

O meglio disse un giorno Peppe a Carletto: - Visto che il lavoro ti piace e più degli altri “rubi” con gli occhi vieni a pulire il negozio lunedì … -

Era in realtà una scusa per insegnargli, a parte, i piccoli segreti del mestiere:  fu l’inizio di un lavoro che per ben 67 anni Carletto ha svolto con vera maestria e cordiale cortesia con tutte le persone che a lui si rivolgevano…

Ricordo, una volta che andai nel suo laboratorio per una riparazione,  una signora gli chiese di forare una cinta troppo larga e quando gli chiese l’onorario,  ovviamente il nostro ciabattino declinò ogni richiesta aggiungendo: - Siamo tutti signori e bisogna essere soprattutto signori dentro…  - Una bella lezione di vita.

Tornando al suo apprendistato, rammenta Carletto che la domenica si chiudeva alle quattordici, ma il lavoro non mancava, anzi. Gli abituali clienti del giorno di festa erano i contadini, i boscaioli, i carbonai che avevano urgenza:  i loro scarponi, deformati dal duro lavoro, andavano “reppezzati” prima che la bottega chiudesse, perché l’indomani servivano di nuovo.  Le pezze, le toppe di cuoio, si cucivano a mano ed era proprio quello un lavoro impegnativo che frequentemente gli apprendisti facevano volentieri,  perché offriva loro la possibilità di imparare.

Povera gente, i proprietari di quelle scarpe sformate, che alla fine pagavano in natura quando tornavano a riprenderle: castagne o funghi,  frutti,  verdura di campo, qualche uovo… e tanti ringraziamenti fatti con il cuore.

I tacchi di questi scarponi si inchiodavano con  chiodi più grandi e più lunghi, chiamati  “tozzetti o capoccioni”  e per la pianta si usavano i “mezzi frati o capocce e frati” rotondeggianti sulla parte superiore: servivano a far sì che la calzatura avesse una maggiore presa e impedivano di scivolare.

Qui aveva termine l’apprendistato, ma lunga era stata la via da seguire da quando avevano imparato a togliere e raddrizzare i chiodini che erano serviti e tener fermo il cuoio prima di essere cucito, una sorta di imbastitura.

Successivamente essi apprendevano a  lavorare uno spago a sei fili: si passava la pece sullo spaghetto e ad entrambi i lati si arrotolava una setola di maiale o di cinghiale. Questo “filo” serviva per “solettare” le scarpe e cucire il fondo di cuoio. La cucitura andava fatta a regola d’arte, a mano:  ci si aiutava con la “lesina o subbia” , un attrezzo con il manico di legno e con una punta di metallo che serviva a forare il cuoio e per poi far passare, cucendo, lo spago precedentemente preparato con pece e setola.

Le lesine erano di diverso tipo: quella scanalata si usava per la gomma, quella non scanalata per il cuoio.

Seguiva poi il compito di mettere i tacchi, proteggerli con i ferretti. I tacchi si realizzavano dal nulla, a mano, come le suole: si montavano piccoli pezzi di cuoio intorno ad una struttura cava e infine si metteva il tacco intero.

Poi si apprendeva a risuolare le scarpe: ride Carletto quando fa notare la differenza di impegno nel porre una suola di gomma che va semplicemente incollata con il mastice e invece una suola di cuoio che va cucita a punteggio, con tanto di lesina per forare e far passare il  filo facendolo percorrere in doppio punto tutto il perimetro del fondo della scarpa.

Un bel giorno Peppe gli disse:-  Oh nì, co’ mi non magni, mo’ tie’ da cammina’ da solo…

Infatti gli apprendisti dovevano accontentarsi di una modesta paghetta,  il biglietto per un ingresso al cinema: ma il vero stipendio era il lavoro appreso.

Peppe, che poi nel 1952 aprirà con la Signora Rina un calzaturificio nella caratteristica casetta con i mattoncini rossi che tutti i turisti ammirano quando arrivano in Piazza Duomo, fu molto generoso e riconoscente con quel giovane e volenteroso apprendista per il quale nutriva un paterno legame affettivo: prese, arredò e consegnò a quel ragazzo un nuovo laboratorio fornito di tutto punto: il deschetto e i vari attrezzi come la bucatrice per le cinte, un attrezzo per realizzare occhielli, forbici, martelli, chiodi, pinze, tenaglie, trincetti - taglienti coltelli da calzolaio, simili a un bisturi,  che talvolta provocavano ferite molto serie, perché in apparenza superficiali, quando venivano usati nelle osterie tra avventori in preda all’alcool -  varie forme di legno per scarpe e scarponi… 

In Via Leonida Montanari, poco distante dall’attuale farmacia comunale in Via della Fortezza, Carletto aprì il primo maggio del 1956, festa dei lavoratori, il suo laboratorio, dopo quattordici anni di apprendistato.

Qualche anno prima, proprio nel 1952,  Carletto giocava a calcio con la Libertas, squadra di Rocca di Papa che faceva capo alla Democrazia Cristiana ed ebbe l’onore di partecipare insieme a tutti i componenti del gruppo sportivo, amministratori, allenatori, presidente ad un simposio organizzato dal Presidente Alcide De Gasperi nella sua villa di Rocca di Papa sulla Via dei Laghi. Orgogliosissimo mostra una foto dove lui, giovanissimo ragazzo con un ciuffo ribelle e dal viso dolce, è con il gruppo insieme al noto uomo politico. Ricorda che fece un bel discorso sulla solidarietà  tra giocatori, ma soprattutto tra gli uomini; fornisce anche il nome dell’allora Presidente della DC, Angelo Alaimo, Sindaco Nestore Vitali. Frequenti erano i derby tra Democristiani e Comunisti, racconta ridendo: Libertas contro Gialla, una sorta di compromesso storico sportivo.

Per qualche anno, dal 1958, tutti i calzolai di Rocca di Papa, sia in attività che pensionati (erano circa 150-152), ogni 25 ottobre si riunivano in occasione della festa di San Crispino, protettore della loro categoria e andavano a fare una bella festa in alcuni ristoranti di Rocca di Papa: da Mechelli (attuale Covo) o da Mariettona in Viale Madonna del Tufo.

Molti artigiani nel corso del tempo, preferirono abbandonare questa attività per offrire manodopera nel campo dell’edilizia, trovando più remunerativo l’introito mensile.

Anche una volta indipendente, il rapporto del nostro ciabattino con i suoi maestri è sempre stato dei migliori e collaborativo: quando Carletto realizzava scarpe su misura la signora Rina, abile ed esperta orlatrice, rifiniva e cuciva (giuntava) le calzature con la sua macchina Singer. Anche Carlo qualche anno dopo fornirà di una bella Singer il suo laboratorio che ancora oggi mostra orgoglioso quando qualcuno lo va a trovare. Un mobile di legno antico dove tutto era ben sistemato è invece un regalo che il forno Botti, nella persona dell’indimenticabile Pinetta volle donare, quando arredò il negozio con nuove strutture, al simpatico calzolaio. 

Tornando ai maestri di Carletto, lei di San Sepolcro, lui di Rocca di Papa hanno continuato la loro attività, fino a quando Giuseppe non è mancato a 67 anni. La Signora Rina – Caterina -   gode di ottima salute e tuttora Carlo mantiene con lei ottimi rapporti. Nel 1996, dopo quaranta anni di lavoro da vero artigiano, Carletto ha chiuso il suo laboratorio ed è andato in pensione: ora vive con la figlia Marina, circondato da nipoti e pronipoti.

Con un sorriso disarmante Carletto conclude questo suo racconto e come ultimo calzolaio di Rocca di Papa vorrebbe che  qualcuno, leggendo questa lunga storia su un mestiere che sta scomparendo, comprendesse che  questa arte, antica e piena di soddisfazioni non dovrebbe perdersi per sempre, ma  dovrebbe essere insegnata ai giovani che ne volessero far tesoro per una attività futura, soprattutto in questo periodo di crisi di posti di lavoro.