Antenne di Montecavo

 

Una programmazione seria dello sviluppo boschivo di Rocca di Papa non può prescindere dalla soluzione dell’annoso problema dei tralicci che da decine di anni infestano la vetta di Monte Cavo e le sue pendici. Anche volendo affrontare la questione da un punto di vista esclusivamente estetico (lasciando da parte per un momento le possibili conseguenze sulla nostra salute di campi magnetici troppo intensi) non possiamo accettare che un luogo simile sia ridotto in condizioni pietose e, oltretutto, che resti chiuso al pubblico. La vetta di monte Cavo, di quello che anticamente era il Mons Albanus, ha un’importanza storica paragonabile a pochissimi altri luoghi al mondo. Forse soltanto l’Olimpo, in Grecia, può dividere con monte Cavo il ruolo di faro religioso della civiltà classica occidentale.  Il santuario di Giove Laziale che vi sorgeva ben prima della fondazione di Roma (parliamo di circa tremila anni fa) può essere considerato la culla della latinità. La letteratura è piena di riferimenti al nostro monte e, senza disturbare Tito Livio, basterà guardare un’immagine del Foro Romano dal Campidoglio per rendersi conto - con Andrea Carandini, il più famoso archeologo romano attuale -  dell’allineamento perfetto e certamente non casuale con la cima del monte Albano.

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Montecavo visto dal Campidoglio (Click per l'immagine a dimensioni originali)

 

Bene, in qualsiasi altro paese un posto così sarebbe oggetto della massima cura: un gioiello da tutelare e mostrare con fierezza al resto del mondo. Qui no. Il convento costruito con le pietre del tempio di Giove cade a pezzi, ridotto a un semplice supporto per le antenne delle radio private. Ma c’è di peggio: che l’antico edificio sia stato acquisito da una società privata è già un fatto opinabile, ma che l’intera zona sia recintata e chiusa al pubblico, pur insistendo sull’antica Via Numinis, ovviamente demaniale, è un'altra circostanza da chiarire. Lungi da noi la pretesa di attribuire a chicchessia le responsabilità della situazione corrente. Quello che ci interessa è trovare una soluzione che consenta di restituire a noi Roccheggiani e a chiunque altro lo desideri la possibilità di salire sulla vetta del monte e godere di un ambiente meraviglioso senza rischiare la pelle e senza che nessuno ci chiuda un cancello in faccia.

Ma le antenne, si dirà, devono continuare a trasmettere. Quello dell’etere è un business che nessuno può permettersi di bloccare. Va bene, ammettiamolo pure. Ma perché, insistiamo, i tralicci devono stare proprio a Monte Cavo? Perché in tutto il Lazio non esiste un altro posto così favorevole, dicono. Da Monte Cavo si trasmette a 360 gradi. Dagli altri siti possibili le emissioni coprono soltanto determinate zone. E c’è un altro problema: i tralicci non li vuole nessuno.

La famosa “delocalizzazione” degli impianti è stata annunciata tante di quelle volte, a tutti i livelli, che oggi a Monte cavo non ci dovrebbe essere più neanche l’antenna di una radiolina a transistor. Solo che impegni e promesse, leggi e decreti non sono serviti assolutamente a niente. Dove qualche anno fa c’era un traliccio ora ce ne solo almeno tre. In barba a qualsiasi norma e senza nessun requisito di sicurezza (ove si escludano le misurazioni dell’intensità di emissione che ogni tanto costringono un’emittente a pagare una multa e a ridimensionare un po’ la potenza).

Ci sembra chiaro, dunque, che l’intera vicenda della “delocalizzazione” è soltanto una bufala. Con tutto il rispetto per chi ci ha creduto, pensiamo che sia arrivato il momento di prenderne atto. Finché per trasmettere un canale radio o TV sarà necessaria un’antenna, questa non si sposterà da Monte Cavo. Né oggi né mai.

Ci dobbiamo rassegnare?  No. Un’altra soluzione c’è. Era stata individuata già trent’anni fa e soltanto un incredibile guazzabuglio di ideologie malintese e di meschini interessi privati impedì che si realizzasse. All’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, quando il problema cominciava ad essere avvertito, fu proposto alle emittenti di consorziarsi e di raggruppare le antenne in uno o due tralicci posti su terreno comunale. In questo modo si sarebbe limitato il danno sia dal punto di vista ambientale che sanitario (la gestione controllata delle frequenze avrebbe evitato che le emittenti si facessero concorrenza a colpi di watt).  In più, il Comune di Rocca di Papa avrebbe incassato canoni di affitto per centinaia di milioni di lire all’anno. Proviamo a moltiplicare gli introiti annuali per 30 e pensiamo quanti soldi ha perso la nostra comunità.

Negli ultimi tre decenni la situazione è peggiorata. Non soltanto i tralicci sono aumentati, ma si sono sparsi un po’ ovunque: dal Tufo alla Costarella è perfino difficile contarli. Nelle tasche della collettività non è entrato un centesimo e il Municipio, per continuare a erogare pochi servizi , è costretto a aumentare continuamente le tasse. Gli uffici comunali fanno quello che possono, cercando di contrastare il fenomeno delle antenne per vie legali, ma è come svuotare il mare con una conchiglia. E allora?

Noi dell’Alveare siamo convinti che la soluzione ideata a suo tempo  può essere ripresa in considerazione, ovviamente adattandola alle circostanze attuali. Sono cambiati i numeri, ma la sostanza è la stessa. Quello che muove le emittenti radiotelevisive - oggi come allora - è l’interesse, come è normale che sia. Il problema è che l’interesse collettivo, quello dei Cittadini di Rocca di Papa e del nostro Comune, finora, non ha contato nulla. E’ arrivato il momento di  invertire la rotta.

La nostra idea è semplice e si basa su pochi punti:

  1. Analisi tecnica sulla fattibilità della concentrazione di tutte le antenne di Monte Cavo Vetta (incluse quelle di Prato Fabio e del Tufo)  su pochi tralicci.
  2. Accordo con le Emittenti perché si consorzino, collocando la nuova attrezzatura su terreni comunali, sempre il località Monte Cavo Vetta, ma in posizione defilata e compatibile sia col paesaggio sia con un nuovo uso del convento.
  3. Spostamento di tutte le antenne della “Costarella”  in un impianto consortile, sempre su terreno comunale e in una zona decentrata quale, ad esempio, la cava di lapillo in disuso.
  4. Posizionamento di centraline fisse di rilevazione sulle scuole e sugli edifici di rilevanza sociale, per un monitoraggio continuo e puntuale dei livelli di irradiamento.
  5. Riqualificazione della vetta di Monte Cavo che, una volta liberata dai tralicci, potrebbe nuovamente ospitare attività turistiche di grande richiamo.