Antonio Fegatelli

3.4   RELAZIONI:   

 

 

Antonio FEGATELLI

 

 

La sfida economico-ambientale dei cedui castanili nel Parco dei Castelli Romani

 

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Presentazione del Moderatore Dottor  Grassi:

Il Dottor Antonio Fegatelli  è, nel Parco Regionale dei Castelli Romani, il responsabile del Servizio Agrosilvopastorale. Una delle attività che gli competono è quella di verificare tutte quante le richieste di intervento sui boschi che vengono presentate al Parco, richiedenti o un semplice nulla-osta, o uno specifico parere tecnico.

 Conosce approfonditamente questa materia e, sostanzialmente, conosce anche le soluzioni applicabili per risolvere alcuni problemi gestionali che però non compete a lui, in quanto funzionario del Parco, attivare, ma solo suggerire.

 

 

 

                                           ( Il Dottor Antonio Fegatelli)

 

 

 

 

Dottor Antonio Fegatelli, Parco R. Castelli Romani.

 

 

Buongiorno, porto i saluti anche del Direttore del Parco Regionale dei Castelli Romani, che ha sede proprio in Rocca di Papa.

Il mio intervento riguarda “La sfida economica-ambientale dei cedui castanili nel Parco Regionale dei Castelli Romani”. Mi è stato chiesto di trattare questo tema perché stiamo vivendo un periodo di poca competitività, nel settore del castagno, per diversi motivi che sono discussi da più esperti e che stiamo analizzando da vario tempo.

C’è indubbiamente bisogno di un rilancio, e gli Enti qui presenti concordano sulla necessità di attuarlo quanto prima possibile.

In tal senso, il contributo che intendo proporre consiste nell’affrontare alcune problematiche che riguardano tutte le aziende che ricadono all’interno del Parco Regionale dei Castelli Romani, esaminando alcune situazioni  che rendono non competitivo il settore castanicolo.

 

Tra queste problematiche, in particolare consideriamo:

-- la concorrenza, che analizzeremo in seguito,

-- l’eccessiva burocrazia.

 

 

 

Eccole in questa prima diapositiva.

 

 Burocrazia.

 Ho inserito la burocrazia perché, effettivamente, incide anche sulla capacità economica dell’azienda boschiva, dal momento che, così come funziona attualmente, è molto farraginosa e rende poco elastiche le decisioni da parte degli operatori. I tempi di rilascio delle autorizzazioni, infatti, sono troppo lunghi e, anche per questo, l’azienda non riesce ad organizzarsi bene e a collocare il prodotto sul mercato in maniera economica.

 

 

 

Per esempio, soprattutto per le piccole aziende, accade che riescano ad avere dei tagli di fine turno, magari a fine stagione silvana, ai quali devono rinunciare a causa di lungaggini burocratiche.   Basti pensare che il Nulla Osta dell‘Ente Parco può richiedere fino a sessanta giorni, mentre l’autorizzazione del Comune, o dell’ente destinatario delle funzioni, ne può richiedere fino a sessanta o novanta, a seconda che sia in autorizzazione o in comunicazione.

L’iter burocratico diventa veramente pesante, e se ne accorgono, soprattutto, i piccoli proprietari.

L’obiettivo primario è quello di snellire questa procedura amministrativa, ma anche quello di creare uno sportello unico che svolga tutta la pratica.

 

 

 

La diapositiva che vediamo mostra qual è l’attuale procedura per il rilascio delle autorizzazioni, per quanto riguarda i quindici Comuni del Parco dei Castelli Romani.

E’ invalsa una consuetudine, secondo me sbagliatissima, anche perché la normativa dice cose diverse, per cui il proprietario boschivo viene prima al Parco a richiedere il Nulla Osta e, o contestualmente o successivamente, si reca presso l’ente destinatario delle funzioni:  questo  come sapete, è il Comune per superfici fino a tre ettari, la Provincia per tagli superiori a tre ettari, e la Comunità Montana per i territori delegati.

In questa procedura si manifesta un problema soprattutto per i tagli piccoli,  in quanto i proprietari vengono prima a chiedere il Nulla Osta al Parco e il Nulla Osta viene dato entro i termini, anche trenta giorni. Poi  vanno a presentare domanda al Comune ed ecco che i tempi si allungano molto perché il Comune si riserva sessanta, novanta giorni per dare l’autorizzazione. Questi passaggi e decorrenze sono sbagliatissimi. Inoltre, il proprietario è costretto a contattare due enti; a uno, consegna determinati documenti e a noi del Parco altri, a volte anche incompleti, per cui siamo costretti a interrompere i termini d’istruttoria, con conseguenti ulteriori lungaggini.

Oltretutto, sussistono problemi anche sulla stessa istruttoria, perché io non so ciò che è stato consegnato al Comune (o alla Provincia o alla Comunità Montana che sia). Questa consuetudine, invalsa all’interno del Parco, dev’essere stravolta, dev’essere cambiata per favorire una riduzione dei tempi e, sicuramente, anche un miglioramento dell’economia del settore, per quanto possa incidere.

 

 

 

Riflettiamo su questa possibile soluzione:

 il proprietario boschivo si reca direttamente all’ente destinatario delle funzioni, e con un primo passaggio dei documenti è l’ente destinatario delle funzioni a dare all’Ente Parco tutta la documentazione;

sarà poi l’Ente Parco a rilasciare il Nulla Osta direttamente al Comune o alla Comunità Montana con la documentazione così integrata.   

I due enti possono coordinarsi tra loro in tal senso. Con questa procedura si risparmierebbe molto tempo,  perché, appena il proprietario presenta richiesta all’Ente destinatario delle funzioni, partono i termini di scadenza per rispondere; e, anche sospendendo i termini in attesa del Nulla Osta dell’Ente Parco, nel momento in cui il Nulla Osta viene rilasciato, riprendono i termini sospesi; ma si tratta di trenta giorni,  e non dei novanta giorni necessari ora.  Si avrebbero sicuramente ricadute positive sulla gestione dell’azienda da parte del proprietario.    Spero di essere riuscito a spiegarmi.

 

 

 

La cosa migliore, auspicata da più parti, oltre che da noi del Parco e dalla Comunità Montana, sarebbe quella dello Sportello Unico   (di cui abbiamo parlato più volte per cui non voglio entrare nel merito), sportello unico competente sia per il vincolo idrogeologico, sia per il Nulla Osta dell’Ente Parco, sia dell’area protetta. Con questa soluzione, pur mantenendo i termini agli attuali novanta giorni, che sarebbero però effettivi, i tempi sarebbero ancor più brevi, in quanto un’unica documentazione verrebbe portata a un unico Ente, che avrebbe novanta giorni per espletare tutto.

 

 

Concorrenza.

Parlando con i proprietari boschivi, (qualcuno è presente qui oggi), è emersa una lamentela per la concorrenza da parte di ditte boschive non locali.

 

 

 

Mentre prima della crisi del settore, c’era un mercato abbastanza vasto e la concorrenza “straniera” incideva poco o nulla, ora la presenza di altre ditte non locali riduce di molto la vendita del prodotto autoctono. Ciò avviene pur dovendosi confrontare con prodotti non molto buoni, come, ad esempio, il legno proveniente dalla Calabria, che è cipollato e esposto ai venti. Inoltre, a volte, queste ditte boschive fanno tagli illegali e possono vendere un prodotto a basso costo, incidendo sulla concorrenza nei confronti dei produttori locali.

Altro tipo di concorrenza, di cui si sente notevolmente l’effetto negativo, è quello delle essenze esotiche. Il Parco Regionale dei Castelli Romani non è un’isola, ma è in collegamento con tutto il territorio nazionale ed europeo, pertanto, pur non potendo le specie esotiche essere coltivate all’interno dell’area protetta, è inevitabile la concorrenza al nostro legname da parte delle specie coltivate fuori che, a volte, dal punto di vista tecnologico, sono di buona qualità. Ho inserito, ad esempio, la Pawlonia tomentosa (ma ce ne sono tante altre), che ha un peso specifico molto basso e un’elasticità notevole.

C’è poi, la concorrenza dei lamellari, di cui abbiamo detto prima.

Tutto questo ci porta a concludere che il settore del castagno va rilanciato, e con attenzione.

 

 

 

Per esempio, c’è bisogno di ricerca; e c’è bisogno di trovare utilizzi alternativi, pur senza abbandonare la produzione del legno di castagno, e speriamo che, come abbiamo sentito prima dalla Professoressa Romagnoli, la certificazione dal punto di vista meccanico porti un contributo in questa direzione. Secondo me, secondo il Parco, bisogna cercare anche altri utilizzi, altri sbocchi; un esempio potrebbero essere le biomasse. Su questa prospettiva abbiamo avuto diversi contributi che sono venuti al Parco, anche dall’Associazione l’Alveare. Si parla molto di questa filiera legno-energia, e noi del Parco ci crediamo molto, come tutti del resto.

 

 Il Parco deve, comunque, tutelare anche l’aspetto vegetazionale. Siamo d’accordo, quindi, che l’utilizzo delle biomasse derivi da sfolli e  diradi e scarti di lavorazione, e probabilmente anche dalle matricine; temiamo, però, che si crei un meccanismo che porti a ridurre il turno minimo dei tagli.  Sappiamo che il turno minimo di legge è quattordici anni. Ma sappiamo anche che, nel Parco dei Castelli Romani, si aggira intorno ai venti, venticinque anni (ho dato il Nulla Osta anche per ventotto, trenta anni). E se diamo tagli di ventotto o di trent’anni,  è perché questa stazione forestale lo può permettere, e abbiamo  suoli buoni. Con questa filiera legno-energia, però, c’è il rischio che si vada a tagliare il prima possibile, perché l’utilizzo delle biomasse è divenuto appetibile, portando il taglio di fine turno a quattordici anni.

Noi, come Parco, vogliamo difendere la situazione attuale; possiamo essere d’accordo con i tagli di sfollo, e magari anche su tagli di fine turno, perché non possiamo mettere i paletti a nessuno: il proprietario taglia il bosco e ci fa quello che gli pare. Sarebbe importante, però, che venisse emanata una normativa, con qualche limitazione, per mandare al taglio di fine turno soltanto boschi di almeno venticinque anni, anche al fine di  mantenere un aspetto naturale ai nostri boschi.

L’attività relativa al frutto non è, al momento, proponibile per la presenza del Cinipide del castagno. È, comunque, un’attività da considerare per il futuro, visto che nel nostro areale  il castagno da frutto è presente  e alcune piante,  anche ultra centenarie,  producono castagne selezionate.

 

 

 

 

Veniamo agli obiettivi dell’Ente Parco.

Per rilanciare il settore, secondo noi del Parco si dovrebbe fare un marchio che tuteli le materie prime prodotte all’interno del Parco dei Castelli Romani. Dovrebbe essere una certificazione diversa dalle certificazioni in uso: la rilascerebbe il Parco per il solo fatto che quel legno viene prodotto all’interno del Parco, con determinati criteri. Rilasciando il Nulla Osta, indichiamo le prescrizioni da cui deriva, e che i tagli autorizzati stanno rispettando determinate e ben precise regole.

Questo aspetto andrebbe pubblicizzato attraverso il sito internet del Parco, in modo da dare una visibilità a questi operatori anche all’esterno. Come Parco, infatti, siamo poco conosciuti, all’esterno: nessuno conosce bene i nostri prodotti locali, compreso il nostro legno. In questo modo, invece, l’operatore, i proprietari boschivi, le ditte boschive, possono avere una buona visibilità, grazie a una certificazione rilasciata dal Parco che attesti i metodi di produzione del legname proveniente da tagli legali.

Ho inserito anche la voce “tannino e pellet”, tratte dal progetto di alcuni professionisti e che prevede la produzione di tannino e pellet detannizzato, da parte di piccole fabbriche a biomassa.  È, senz’altro, una strada percorribile, sempre a condizione che queste fabbriche rispettino la condizione di utilizzare il taglio di fine turno in venticinque anni o il più possibile, ponendo, almeno, un limite in questo senso.

Infine, come Parco siamo favorevoli alla creazione di un albo che racchiuda tutti gli enti e le aziende che operano bene nel territorio, che rispettano le regole che impongono tagli legali e controllati. Ovviamente sarebbero escluse, dalla pubblicizzazione da parte del Parco, quelle aziende che tagliano male, che hanno avuto dei problemi amministrativi e a cui è stata comminata una multa per un taglio fatto male.

Ho terminato.

Grazie.

 

 

 

 

Domande dal pubblico e relative risposte.

 

Domanda: “Per  ottenere le autorizzazioni forestali servono troppi mesi, l’imprenditore  ci rimette molto.  Perché non fate lo Sportello unico? il Parco non può  essere il Soggetto di ultima istanza nelle aree protette?”

Risposta:   Questa domanda è stata posta prima che io parlassi, perché ho trattato proprio questo argomento.  E ho auspicato che si arrivi a chiudere la pratica entro 90 giorni. 

Ma tutto dipende dalle normative, e poi dipende dalla persone che lavorano…  Come tecnico che ci lavora dentro, dico  ora un assurdo:  si potrebbe persino chiudere in un mese, se ci fosse il personale adeguato e preparato, in un ufficio  ben organizzato  per ottenere quello. Ma finché  si  continua ancora a  presentare  agli uffici  pratiche  incomplete….

Il Dottor Fiore dice che in Regione avevano già pensato di cambiare il Regolamento Forestale, che  prescrive  quali organi  sono impegnati (Comune, Parco, Provincia…..) e le procedure e i tempi da osservare, ma ci sono problematiche difficili da risolvere (riferite alla “241” ecc), per cui dobbiamo attendere.

 

 

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