Con Franco Arietti alla scoperta della Via Sacra

 

 

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Sabato 5 luglio, con diversi amici dell’Alveare, abbiamo avuto l’opportunità straordinaria di essere accompagnati in una visita sulla Via Sacra (continuiamo a chiamarla così per abitudine) da Franco Arietti, l’archeologo che fra l’altro – insieme al compianto Bruno Martellotta – si adoperò per il recupero del corredo della famosa tomba orientalizzante di Vivaro e scrisse in proposito un testo fondamentale: La tomba principesca del Vivaro di Rocca di Papa / Franco Arietti ; Bruno Martellotta. - Roma : Istituto Nazionale di Studi Romani, 1998.

L’antica via, che saliva al tempio di Juppiter Latiaris sulla vetta del monte Albano, è stata ripulita di recente dai volontari del Gruppo Archeologico Latino e ha rivelato al suo occhio esperto dei particolari che erano sfuggiti a tutti gli insigni archeologi che hanno scritto in passato di questa strada, considerata erroneamente come un unico tratto basolato lungo 6 km. In particolare, la rimozione della terra accumulatasi negli anni, specialmente sulle crepidini ai lati della strada, ha consentito ad Arietti di accertare finalmente il senso delle lettere V e N incise su molti basoli: lettere che in passato erano state interpretate da alcuni come Via Numinis  e più correttamente da altri, come il Mommsen, come rifacimenti del lastricato indicanti VetuseNovum (forse: pavimentum); egli concluse però che dovevano indicare il lavoro eseguito dagli appaltatori, da retribuire. Ora, la ripulitura completa dei margini ha reso possibile capire il loro vero significato. Arietti, forte dell’esperienza accumulata nello scavo di molte strade romane nei lunghi anni di servizio presso la Soprintendenza Archeologica di Roma, ha notato innanzitutto che non si tratta di un'unica strada, ma di un percorso realizzato in tre momenti differenti. Infatti la strada lastricata - forse voluta in origine da Quinto Fabio Massimo Verrucoso alla fine del III sec. a.C. -  risale a ben prima dei restauri di età claudia  (metà I sec. d.C.) che caratterizzano il tracciato percorribile oggi. Quest'ultimo, che parte dal Guardianone (Via dei Laghi) e arriva al Prato Fabio è largo circa m. 4 e nel corso della sua realizzazione fu rifatto interamente il lastricato più antico (largo solo m. 2,60 e quindi inibito al passaggio di due carri in senso opposto); però solo fino al Prato Fabio, toponimo che conserva il ricordo della villa e dei terreni posseduti dai Fabi. A partire dal Prato Fabio e fino al santuario in età claudia ci si limitò al restauro di una lunghissima serie di piccoli tratti  di lastricato più antico. Tali restauri vennero indicati appunto in molti casi con le lettere N e V, ma qui viene la scoperta di Arietti il quale ha notato che una trentina di tratti restaurati in epoca claudia sono sempre segnalati su entrambi i lati della strada da un doppio gomphus (la pietra più alta sistemata di taglio al posto dei normali umbones, più bassi, che formano la crepidine). Ebbene, questi gomphi, quando si trovano accoppiati, indicano l’inizio o la fine del tratto restaurato e, sorpresa, uno reca incisa la V che sta per vetus, mentre sull’altro c’è la N che sta per novus. Il bello è che le stesse due lettere sono incise anche sui basoli del pavimentum, dove si può distinguere chiaramente la cesura fra il tratto restaurato, con i basoli scalpellati tipici dell'età di Claudio, e quello vecchio, con i basoli più lisci. In un punto, addirittura, l’azione dell’acqua ha scoperchiato lo strato superficiale del lastricato di terzo secolo a.C., rendendo evidente il  tracciato stradale arcaico sottostante, eseguito nel VII sec. a.C., tagliato nel banco di tufo. Questa strada antichissima, sulla quale transitarono i popoli latini e Tarquinio il Superbo, originariamente non si dipartiva dall’Appia come è stato più volte scritto, ma all’altezza del Guardianone dalla cd. Via Castrimoniese (o Castrimoniense)  che coincide per ampi tratti con l’odierna via dei Laghi. Essa giungeva fino al santuario, ma soltanto fino all'altezza di Prato Fabio era larga abbastanza per il passaggio di due carri affiancati e probabilmente era stata realizzata dai curatores viarum  (come recita l'iscrizione CV su un basolo), sempre per volere di qualche esponente della potentissima famiglia dei Fabi.  Quello dal Prato Fabio fino alla cima (lungo circa 800 m.) è probabilmenteil tratto più propriamente “sacro”, riservato alle cerimonie, e ciò spiegherebbe la cura (pietas) ed il rispetto con cui sono stati eseguiti i restauri. E’ il tratto che conduceva al tempio federale delle città latine, dove per secoli vennero celebrate le feriae e dove si svolsero almeno quattro ovationes.  Queste, per quanto eclatanti, sono solo alcune tra le “primizie” che Franco Arietti ci ha dispensato camminando: una tale messe di informazioni e di ipotesi (peraltro più che plausibili) da meritare senz’altro una pubblicazione ad hoc. Per ora, la buona notizia – e non soltanto per l’Alveare - è che il dott. Arietti si è detto disponibile a collaborare al nostro progetto per le scuole di Rocca di Papa, una disponibilità di cui cercheremo di fare tesoro e che, ne siamo sicuri, entusiasmerà alunni e docenti.          

 

Carlo Guarinoni, 7 luglio 2014