Manuela Romagnoli

3.2   RELAZIONI:   

 

 

Manuela ROMAGNOLI

 

 

L'impiego strutturale del legno di castagno: solo storia o una prossima realtà?

 

(Indietro)

 

Presentazione del Moderatore Dottor  Grassi:

La Professoressa Romagnoli è Dottore di ricerca in Scienze del legno, Ricercatore universitario per i settori: Tecnologia del legno e utilizzazioni forestali.

Attualmente è Professore associato di Tecnologia del legno e utilizzazioni forestali nell’Università degli Studi della Tuscia.   È inoltre titolare di corsi di insegnamento di sia Scienze forestali che relativi anche ai Beni Culturali dell’Università degli Studi della Tuscia.  

Io la incontro, ogni tanto, al Tavolo di Filiera della Frutta in guscio, sezione Castagno, del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.  È anche membro del tavolo tecnico sulla Filiera Foresta-Legno del Mi.P.A.A.F. Inoltre coordina il Topic Group Wood Quality, dell’azione Cost Stress. Personalmente, stimo in lei la ricercatrice poliedrica, pragmatica, chiara e sempre disponibile a rispondere a tante domande sulla tecnologia del legno.

 

 

 

 

Professoressa Manuela Romagnoli, Univ. Tuscia (VT).

Cercherò di dare in breve il mio contributo su quello che dovrebbe costituire uno sviluppo della filiera, per quanto riguarda il legno di castagno. Rifletterò, in parte, il pensiero del Professor Ragazzo, in quanto è chiaro che dobbiamo guardare all’innovazione e a sfide sulle tecniche costruttive del materiale. È anche vero, però, che abbiamo una realtà consolidata di Aziende che hanno un importantissimo Know-how per quanto riguarda la lavorazione del materiale per uso strutturale. Dovremo, quindi, cercare di capire come traghettare queste Aziende in un contesto europeo, valutare che cosa è stato fatto, che cosa si può fare, dove possiamo crescere e quali potrebbero essere gli ulteriori elementi di innovazione. È evidente, infatti, che consolidare quello che abbiamo e portarlo in ambito europeo è già molto, ma, dal mio punto di vista di ricercatrice che pensa sempre all’innovazione, non è abbastanza; penso, infatti, ad altre sfide che dobbiamo vincere o, quantomeno, cercare di affrontare.

Legno di castagno.Sono stata invitata a dire la mia sullo stato dell’arte del legno di castagno per uso strutturale. Tutto nasce dalla grossa opportunità offerta dalla normativa tecnica delle costruzioni 14081 del 2008, che ha attribuito al legno, compreso quello di castagno, la stessa importanza che hanno gli altri materiali per la costruzione. Da quel momento anche il legno e, quindi, il legno di castagno, risponde a tutta una serie di requisiti di sicurezza e di prestazioni tali, da poter competere con gli altri materiali da costruzione. Alla base di tutto ciò, c’è una normativa tecnica italiana che ha la grossa potenzialità di misurare e catalogare i difetti del legno, e quindi della trave in legno massiccio (prodotto principale di questa zona), in veri e propri profili di resistenza meccanica. In questo modo, siamo in grado di fornire all’architetto, al progettista, le esatte prestazioni di resistenza meccanica della trave in legno di castagno, semplicemente, misurando e valutando i difetti. Con ciò è stata sfatata tutta una serie di opinioni negative sul materiale, un esempio su tutti, la cipollatura. Quando mi sono laureata, si riteneva la cipollatura un difetto assolutamente limitante dell’impiego del castagno per uso strutturale; la nuova normativa, invece, entro certi limiti, la ammette.

È cambiato tutto, nel momento in cui è entrata in vigore la certificazione CE del castagno per uso strutturale; si è cercato, infatti, anche grazie all’impegno dell’Università e degli Enti di ricerca italiani, di far sì che la trave di legno massiccio di castagno, la cui nicchia di mercato è prevalentemente italiana (ai Francesi, il legno di castagno interessa per esportarlo in Italia) potesse essere marcata CE, a livello europeo. La cosa è abbastanza riuscita: nella normativa di riferimento per la marcatura CE delle travi in legno massiccio, a sezione rettangolare, è compreso anche il castagno e viene classificato D24, come classe di resistenza (può resistere a 24 MPa—N/mm², a flessione). Gli è stato attribuito, quindi, un preciso valore di resistenza meccanica (leggermente inferiore alle reali prestazioni del materiale). Oggi siamo nella possibilità di marcare CE il legno di castagno, ma solo se lo smusso è inferiore a un terzo, e tutte le nostre Aziende sono in grado di fare questo.

La riuscita dell’inserimento non è completa perché, nell’ultima riunione del CN europeo, sono state poste delle limitazioni. Nella normativa di raccordo, la 1912, si consente la marcatura CE del legno di castagno a spigolo vivo entro i cento millimetri, non avendo riconosciuto sufficientemente consolidati i parametri per prestazioni maggiori. In questo momento, lo sforzo di Federlegno e degli Accademici che si stanno dedicando a questo argomento è di riuscire a innalzare il limite, dimostrando la validità delle prove eseguite. Ma è un problema che si spera di risolvere in tempi abbastanza brevi.

Il problema fondamentale è che la nostra produzione è soprattutto Uso Fiume; questo significa che superiamo abbastanza facilmente il limite di un terzo dello smusso. Problema che è stato risolto da Federlegno, nell’organizzazione di Conlegno, avviando un procedimento di riconoscimento, con benestare tecnico europeo, per cui un gruppo di Aziende, seguendo un’altra procedura, ha ottenuto la possibilità di marcare CE il prodotto Uso Fiume legno di castagno, utilizzando l’attività messa in piedi da Conlegno. Questo processo, che ora è chiuso, era stato avviato grazie a degli studi e a un progetto finanziato da Conlegno, che aveva come attore principale il CNA Rivalta e a cui abbiamo partecipato noi insieme alll’Università di Torino. E c’è stata la possibilità di inserire, oltre al castagno del Lazio, anche quello francese, dando anche questa spinta ai nostri produttori.

Questo processo è stato riaperto, c’è una nuova call da parte di Conlegno che scade il 12 dicembre. Le Aziende che volessero mettersi in regola e cercare di approfittare di questo benestare tecnico europeo, di questa certificazione che è stata ottenuta, possono riaderire al progetto e rientrare in gioco.

Oltre alla classificazione a vista, ci sono altri sistemi per marcare CE il legno massiccio di castagno per uso strutturale. Un sistema, conosciuto da alcuni per averlo usato per stilare una classificazione a macchina, è quello che utilizza un piccolo strumento che percuote il legno e restituisce un modulo di elasticità associato alle performance della trave di legno massiccio. Questa macchina per la classificazione è stata dichiarata applicabile a tutta una serie di specie, tra cui il pino, la Douglasia e altre conifere di provenienza italiana; stiamo facendo lo sforzo, in collaborazione con alcune Aziende della zona, di poterla applicare, oltre che a livello nazionale, anche per la marcatura CE del castagno strutturale, anche nella Regione Lazio.

A chi mi chiedesse: “Posso decidere di non marcare CE?”, risponderei che, da un punto di vista puramente normativo, essendo in possesso di un riconoscimento rilasciato dal Ministero delle Infrastrutture, potrei farlo, margini di lavoro ci sono; però, pur considerando i grossi limiti, perché dovrei utilizzare, per il mio castagno, una sezione geometrica e non nominale, potrei diffondere il castagno ad uso strutturale solo in ambito nazionale, potrei fare riferimento solo a castagno italiano e non francese, inoltre, appare evidente che non si sarebbe in Europa e, soprattutto, si sarebbe fuori mercato. È molto probabile, infatti, che il progettista, il costruttore, decidano di utilizzare prodotti marcati CE, che garantiscono maggiormente la prospettiva di avere le performance richieste, rispetto a un castagno non marcato CE, pur se in possesso di qualifica ministeriale.

Siamo in Europa e abbiamo un’altra grossa potenzialità: quella legata ai nostri edifici storici. Le politiche costruttive stanno sempre più spingendo verso la riqualificazione degli edifici storici. Questo significa, per noi che restauriamo, che dovremmo applicare tutte le normative, per esempio, quando sostituiamo dei pezzi con altri in regola con la marcatura CE. Ma vi invito a ragionare anche su un altro discorso molto importante, che è quello della classificazione a vista per l’attribuzione di performance meccaniche al nostro patrimonio storico-artistico. C’è un mondo, in questo settore, che pochi conoscono, ed è quello di una normativa, al momento italiana, che riguarda le ispezioni in situ delle strutture storiche. Ecco un esempio di applicazione di questa normativa, fatta a Viterbo, su una chiesa col tetto medievale, del 1400. La prima intenzione del progettista era quella di sostituire una gran parte dei pezzi delle antiche strutture di castagno. Siamo intervenuti, in applicazione della normativa di cui vi dicevo, misurando i difetti, collocandoli, e così via, restituendo la localizzazione delle cosiddette “sezioni efficaci” o “sezioni resistenti”; si è detto che tale pezzo poteva essere sostituito, tal altro poteva resistere al carico, tal altro ancora poteva reggere applicando una protesi in legno, anziché gettare tutta la trave. E questa è stata una nostra conquista importante, anche nell’ottica della sostenibilità ambientale. Quel tetto consiste in trenta metri cubi di castagno; ci siamo divertiti, col collega Carbone, a calcolare la CO2 equivalente conservata in queste travi del 1400; è emerso che quei trenta metri cubi di legno contengono ventisettemila chili di CO2 equivalente, questo significa che c’è un bel carbon stock, in un semplice tetto che sta in sede dal 1400 (anzi alcune travi da me datate, risalgono al 1100). Ecco un’altra ottica di sostenibilità e di valorizzazione del legno di castagno.

Innovazione.Siamo sempre più sommersi dai lamellari di conifere. Perfino all’interno delle segherie, con la più antica e consolidata tradizione del legno massiccio per uso strutturale, vedo il lamellare di conifere! È ora di affrontare un’altra sfida importante, quella, cioè, di presentare un progetto che preveda l’utilizzo del lamellare di castagno per uso strutturale. Tecnicamente siamo pronti, siamo nelle condizioni di assicurare che questo prodotto abbia delle performance idonee. Non nego, però, che traghettare questo prodotto in ambito europeo presenta delle difficoltà; la normativa europea vigente, infatti, che diverrà obbligatoria nell’agosto 2015, precludendo di fatto la possibilità di rientrare nei tempi, presenta dei problemi oggettivi per il lamellare di latifoglie. Si dovrebbe attivare un processo di benestare tecnico europeo, il che presenta costi e tempi; è pur vero che niente vieta di lavorare in ambito nazionale, con la qualifica ministeriale.

C’è molto da fare. Sono una forestale e non posso dimenticare che si deve partire dalla prima parte della filiera. Possiamo ragionare su un miglioramento di qualità, e, quindi, garantire un futuro all’innovazione per questo materiale, solo se ragioniamo sul bosco.

Oggi non c’è il collega Portoghesi e, per questo, ho voluto aggiungere queste due slide su temi su cui abbiamo lavorato (e stiamo cercando di lavorare) insieme, temi che sono un’altra sfida fondamentale: quella della qualificazione del tondo di castagno. Se riuscissimo ad attivare un mercato in cui questo prodotto avesse una sua classificazione di qualità, come avviene per il bosco di Friuli, Trentino, eccetera, che definisca: “Questo è castagno di qualità A, questo è di qualità B, e via dicendo”, probabilmente riusciremmo a valorizzare di più, ma soprattutto a riattivare il processo basilare della gestione selvicolturale. Altrimenti avremo sempre problemi, tra cui il più noto, chiaramente, è la cipollatura, anche se su questo abbiamo capito come intervenire. Sappiamo perfettamente, infatti, quali sono le situazioni fisiologiche in cui si presenta il difetto e che, se gestiamo i boschi dal punto di vista selvicolturale, con dei risfogli molto precoci, possiamo avere degli ottimi risultati.

Fantascienza, ma non tanto.Due anni fa esposi il tema dei tannini. L’innovazione ci propone anche lo sfruttamento di sostanze che sono all’interno del legno e che possono avere  degli impieghi decisamente nobili. Si parla tanto di sostenibilità, di prodotti non tossici; il tannino, oltre tutta una serie di importanti proprietà, è un collante naturale: questa è una prova che abbiamo fatto con un pannello di particelle. Abbiamo sostituito fino al 40% di formaldeide con il tannino e le prestazioni meccaniche sono decisamente rapportabili a quelle di un pannello normale. C’è un problema di costi, ci sarà certamente un problema di risorse, ma è un’articolazione di una filiera; questo significa crescita e miglioramento di un territorio.

Vi ringrazio per l’attenzione.

 

 

Domande dal pubblico e relative risposte.

 

Domanda: “La certificazione del legno di castagno nelle costruzioni: le imprese costruttrici  hanno difficoltà nel reperirla; a che punto siamo con la normativa?”

Risposta:Questo argomento è stato il centro del mio intervento, la domanda è stata evidentemente presentata prima che io parlassi. Riassumendo: per l’ uso spigolo vivo, in realtà, è possibile marcare CE, ma le aziende si devono semplicemente mettere in regola da questo punto di vista. Per l’uso fiume, invece, c’è stato un processo, al quale un primo gruppo di aziende, una parte delle quali dei Cimini, aveva partecipato e il processo è stato chiuso; ma in questo momento è stato riaperto per volontà di Conlegno, il cui progetto punta a ottenere il benestare tecnico europeo, unico modo in questo momento per marcare CE il castagno. Su altri metodi per certificare, come potrebbe essere la classificazione fatta con macchina, si sta lavorando:  si procede per applicare un apparecchio proprio per la classificazione del legno per uso strutturale, perché una macchina è stata appena certificata a livello europeo anche per il castagno.

 

Domanda: “Vorrei costruire con legno di castagno di Rocca di Papa, ma mi dicono che poi non passerà il collaudo perché non è certificato.”

Risposta:Vero, per il motivo che ho appena spiegato. Con l’occasione è opportuno precisare un altro aspetto importante: io ho parlato, chiaramente, di certificazione di prodotto, marcatura CE, requisiti prestazionali e prestazioni meccaniche del prodotto. Ma si parla spesso anche della “Certificazione forestale”, che è invece certificazione di prodotto volontaria.

La certificazione forestale è una situazione quasi di marketing, vorrei dire, e certifica la tracciabilità con due sistemi, che possono essere: il PEFC, che è stato prima richiamato, e FSC che comprende due fasi: la fase della certificazione della gestione forestale sostenibile e poi la catena di custodia. In regione Lazio in questo momento, siamo a zero quanto a certificazione forestale, unica eccezione la ditta Piangoli che, giusto ieri, ha avuto la visita ispettiva per certificarsi come catena di custodia PEFC. Ai produttori di legno boschivo conviene attivare la gestione forestale sostenibile, altrimenti non riusciamo a chiudere questa catena di custodia, che costituisce invece un’azione di marketing efficientissima, perché vende il prodotto come certificato.

 

Domanda:“Il fatto che ci siano tetti realizzati con legno di castagno che, com’è provato, sono durati trecento anni, conta nulla ai fini della certificazione?”

Risposta:  No. Nel senso che se io voglio avere del legno nuovo di castagno per sostituirne altro in un tetto, comunque devo fare la procedura di cui abbiamo parlato prima. Considerate che noi abbiamo tetti che ci sono pervenuti ad oggi perché, prima di tutto, spesso le strutture erano sovradimensionate, e perché spesso il legno di castagno dimostrava tutte le sue caratteristiche eccezionali,  e peraltro anche l’interasse tra gli elementi era molto più stretto; quindi chi abitava sotto quel tetto era, diciamo, anche fortunato.  Ma oggi, nel momento in cui  lo si sostituisce, il nuovo legno dev’essere marcato CE o, comunque, certificato come idoneo per uso strutturale.  A  meno che, e questo è un auspicio, io  riesca a provare che quelle strutture vecchie assolvono ancora la funzione per la quale sono state messe in opera e dimostro che quel legno, nonostante sia stato degradato, nonostante stia lì da trecento anni, è ancora in grado di assolvere ad una funzione portante ben precisa. Anche qui, tutto è codificato da una normativa, però in questo caso la normativa è nazionale,  è la 11119.

 

Domanda: “Convengono i turni lunghi nei cedui castanili?”

Risposta: A me ricercatrice, allungare il turno ha dato soddisfazione, perché abbiamo dimostrato che, laddove si operano degli sfolli prima che il bosco abbia dieci anni, si ha la possibilità di avere del materiale di qualità decisamente migliore. La corretta gestione forestale lo consente. Conviene allungare i turni perché è importante avere alberi di dimensioni maggiori, ma non basta perché bisogna che le piante siano rettilinee e possibilmente meno difettose. La domanda tocca un argomento che implica una risposta molto articolata che non possiamo dare oggi, il tema  meriterebbe forse un convegno a parte.

 

 

 

(Indietro)