Castanicoltura in Calabria, prove di lotta al mal d'inchiostro e di gestione dei cedui

(indietro)

6.3.2         CASTANICOLTURA IN CALABRIA,
PROVE DI LOTTA AL MAL DELL’INCHIOSTRO E  DI GESTIONE DEI CEDUI

 

Antonio Scalise

Responsabile del Centro Sperimentale Dimostrativo ARSAC di Cropani Marina (CZ)

 

      Essere presente oggi a questo importante convegno è rilevante, per la possibilità che offre di aggiornamenti e, per me, di comunicare alcuni risultati di ricerche svolte in Calabria, che ritengo interessino anche il Lazio. Riguardano il Mal dell’inchiostro  e la gestione dei cedui in fase giovanile.
     Una breve premessa: in Calabria la castanicoltura svolge da sempre un ruolo strategico nell’economia delle popolazioni montane.  La coltivazione è concentrata essenzialmente nelle provincie di Catanzaro e Cosenza, nella fascia pedemontana compresa tra i 600 e i 1200 m s.l.m.. Nell’area Aspromontana la fascia di vegetazione si abbassa notevolmente quasi a ridosso del mare.
Il radicamento capillare sul territorio, il valore delle produzioni, la cultura che si è creata nei secoli intorno ad esso, il ruolo insostituibile della specie nella difesa idrogeologica del territorio, il valore inestimabile del suo paesaggio, ne fanno un indiscusso protagonista della montagna calabrese. Va salvaguardato.

     

1)  Lotta al Mal dell’inchiostro.

      La Phytophthora cambivora (Petri) Buism., che aveva colpito pesantemente interi castagneti negli anni ’50, è ora in stasi quasi ovunque, tranne che nella Presila catanzarese. In nuovi impianti c’è anche Phytophthora cinnamomi Rands, senza dubbio introdotta con piantine provenienti da vivai del Nord Italia.
     Le nostre prime ricerche si svolsero dal 1999  in un vecchio impianto da frutto di circa 60 ha, in località Carrozzino, da sempre vocata alla castanicoltura nel Comune di Zagarise (CZ).       L’intera zona fu gravemente colpita dal Mal dell’Inchiostro 50 anni fa, e molti proprietari furono costretti ad una parziale sostituzione della coltura con rimboschimenti di conifere e/o dove possibile,  a convertire a ceduo. Oggi, la malattia è presente soprattutto nelle zone più alte, dove il terreno è in leggera pendenza o pianeggiante e soggetto a  ristagni idrici. Le potature sporadiche e la totale mancanza di interventi preventivi e/o curativi nei confronti della suddetta malattia, hanno contribuito ad aggravare la malattia. Le piante infette, tutte secolari, mostravano i tipici sintomi di deperimento e ingiallimento sulla chioma, disseccamento degli apici, foglie più piccole, scarsa produzione, e imbrunimenti dal  colletto sui tessuti del cambio e del legno.

      Per una prima prova orientativa sono stati scelti tre alberi, e nel mese di aprile 1999, su un raggio di tre-quattro metri dal fusto, si è proceduto alla sconcatura manuale, per mettere a nudo il colletto e le radici primarie da sottoporre a trattamento chimico (Fig. 1). Il principio attivo utilizzato è stato il Phosethyl-Al (Alliette) alla dose di 1 kg di prodotto per quintale di acqua. I trattamenti effettuati, con l’ausilio di una pompa a spalla, sono stati tre, a 20 giorni uno dall’altro e irrorando il prodotto su tutte le parti scoperte. Alla ripresa vegetativa del 2000, e poi del 2001,  si sono ripetuti i trattamenti secondo lo schema utilizzato nel 1999. Nel 2001 si sono ricoperte le radici col terreno, effettuando una sistemazione “a lunetta” (Fig.2).

Dopo tre anni di trattamenti le piante si differenziavano dalle malate per un ottimo sviluppo dei germogli, su tutta l’ampiezza della chioma, con foglie verde intenso di grandezza regolare e incrementi apprezzabili nella produzione di frutti. Ma gli interventi colturali hanno avuto un ruolo fondamentale nella ripresa vegetativa: la potatura (forti raccorciamenti invernali delle branche e  potatura verde nei mesi estivi) ha bilanciato lo squilibrio creato dalla parziale distruzione della parte epigea; la concimazione (urea agricola in primavera), ha rinvigorito l’intera pianta; l’interramento del concime fosfopotassico è avvenuto in fori, tramite palo iniettore, per non danneggiare le radici superficiali; la "lunetta" ha favorito lo sgrondo delle acque (avendo la prova anche fini dimostrativi, le lunette sono state create utilizzando materiali diversi, quali residui di potatura e pietrame; anche le modalità di esecuzione sono state diversificate).

      La seconda prova è iniziata nella primavera del 2002, su altre 12 piante suddivise in quattro gruppi. Ai primi tre gruppi sono stati somministrati tre diversi prodotti, il quarto gruppo è stato utilizzato come testimone. I principi attivi usati sono il Phosethyl-Al, il Metalaxyl ed un prodotto sperimentale non ancora commercializzato il EXP11047A. Sui tronchi, ad un’altezza di 50 cm da terra, sono stati effettuati sulla corteccia dei fori di 3 cm di diametro. Il legno sottostante mostrava (Fig. 3) la colorazione nera dei tessuti dovuta alla presenza della malattia. Sul legno è stato inserito il prodotto (Fig. 4), quindi riposizionato il dischetto di corteccia asportato (Fig. 5), infine la ferita è stata ricoperta con mastice (Arbokol) (Fig. 6). I fori sono stati fatti su tutta la circonferenza della pianta ad una distanza di 20 cm tra loro. Per le tre piante testimoni la procedura è stata la stessa e nei fori non è stato introdotto alcun prodotto.
A distanza di 5 mesi la chioma appariva già di un colore più intenso, rispetto ai testimoni.

 

I risultati delle due prove, indicano che con una corretta integrazione di metodi di lotta chimica ed agronomica, il controllo del Mal dell’Inchiostro è possibile anche su piante secolari.  L’intervento di sconcatura delle radici (effettuata a mano) è risultato nettamente più oneroso di quello con fori sul tronco.

      Una terza prova riguarda  un castagneto impiantato nel 1992 in località San Nicola (comune di Zagarise CZ), gravemente colpito dalla malattia. Negli spazi vuoti creati dalle fallanze, nel febbraio del 2000 sono stati messi a dimora portinnesti di provenienza francese segnalati dall’I.N.R.A. come affini a Castanea sativa e resistenti al Mal dell’Inchiostro, ricavati da margotta di ceppaia e forniti dall’I.N.R.A. stessa: 100 piantine di Ferosacre, 100 di Marigoul e 100 di Marsol.
Al momento dell’impianto,  sono state messe a confronto due tesi sperimentali più una tesi di controllo. In una prima tesi, comprendente 16 piantine di Ferosacre, 16 di Marigoul e 18 di Marsol, è stato utilizzato il fungo antagonista Trichoderma harzianum (un ceppo sperimentale gentilmente fornito dal Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, Università degli Studi di Napoli Federico II) che sotto forma di polvere secca è stato distribuito nella quantità di 10gr/pianta nella buca a diretto contatto con le radici della piantina. In una seconda tesi comprendente 70 piantine di ogni portinnesto, sono stati utilizzati due fungicidi, Alliette (a base di Phosethyl-Al) 250gr/hl e Forum (a base di Dimetomorf) 100gr/hl; le piantine prima sono state immerse con gli apparati radicali per 30’, e dopo la messa a dimora trattate con gli stessi prodotti.
I portinnesti a inizio primavera 2001 sono stati innestati a doppio spacco inglese con due delle migliori varietà locali: Riggiola e ‘Nserta. A fine inverno 2001-2002, nello stesso appezzamento sono state messe a dimora 60 piantine di selvatici di Castanea sativa locale, preventivamente trattati con Trichoderma harzianum. Nei tre anni di prova sono stati misurati mortalità e vari parametri di vigoria, poi è seguita una approfondita elaborazione statistica dei dati.
Valutando la mortalità delle piantine nei primi due anni si evince chiaramente che il primo anno risulta molto importante e delicato per la vita successiva dell’impianto da un punto di vista fitosanitario. L’influenza positiva del Trichoderma sulla vegetazione è appezzabile solo nel primo anno. In tutte e due le tesi (chimica e biologica) si è avuta una certa riduzione della mortalità rispetto al testimone, più promettenti sono apparsi i trattamenti chimici con entrambi i prodotti utilizzati. Dei tre portinnesti impiantati nessuno è apparso immune al Mal dell’Inchiostro, il più tollerante è apparso il Marsol; mentre il Ferosacre ha dato i migliori risultati nei riguardi dell’affinità e della stimolazione vegetativa (confermando con ciò le informazioni date dall’INRA, che attribuiscono a Ferosacre vigoria molto elevata), ma nessuno è realmente affidabile. In modo particolare in termini assoluti il Marigoul ha presentato una mortalità due e tre volte superiore nei confronti di Ferosacre e Marsol, analizzando poi le diverse tesi si nota che per il Ferosacre e il Marsol la mortalità delle piantine è stata percentualmente molto più alta nel controllo rispetto alle tesi trattate non così per il Marigoul. 

      Altre due prove, una con prodotti biologici e una con prodotti chimici, ne hanno studiato l’efficacia contro la Phytophthora cinnamomi. Si è lavorato nell’Azienda di Stato delle Foreste demaniali di Catanzaro, sempre nel comune di Zagarise (CZ), su appezzamento isolato dal terreno circostante tramite fossato.
Per ciascuna prova sono stati utilizzati 5 prodotti più un testimone e per ciascun prodotto sono state previste tre parcelle con 10 piante ciascuna. Piantine di un anno di selvatici calabresi sono state messe a dimora (a 40 cm sulla fila e 130 tra le file)  a fine marzo 2001, poi, all’inizio di maggio, sono state artificialmente inoculate con la Phytophthora cinnamomi,  scalzandole preventivamente a livello del colletto e subito dopo ricoprendole.
Per la lotta chimica sono stati utilizzati i prodotti e le concentrazioni seguenti: Alliette (4gr/l), Forum 50WP (4gr/l), Ridomil Gold (4gr/l), Previcur (2,5ml/l) ed un prodotto sperimentale EXP11047A (2,5ml/l); prima di essere messe a dimora l’apparato radicale delle piantine veniva immerso per 20 minuti nelle sospensioni dei prodotti che successivamente venivano distribuiti (1 l/pianta) sul terreno nelle singole parcelle. Un secondo trattamento con le stesse concentrazioni e modalità di distribuzione è stato effettuato dopo 20 giorni, il terzo trattamento è stato effettuato due giorni dopo l’inoculazione del parassita ed un quarto ed ultimo trattamento 10 gioni dopo il terzo.
Per la lotta biologica sono stati adoperati 4 funghi antagonisti : Trichoderma harzianum, Trichoderma viride, Gliocladium sp., Trichothecium sp. e un batterio,  Streptomyces griseoviride, distribuiti sull’apparato radicale delle piantine al momento del trapianto. I controlli, la misurazione dell’altezza totale e della lunghezza del germoglio apicale sono stati effettuati dopo 2 e 4 mesi dall’inoculo del parassita. 

Analizzando nell’insieme i dati si evince chiaramente che la lotta chimica ha dato i risultati migliori, sia al controllo effettuato nel mese di luglio, dopo 2 mesi dall’inoculazione del patogeno, che nel mese di settembre, dopo 4 mesi.   Nella tesi della lotta chimica, tre prodotti (Alliette, EXP e Forum) anche dopo il secondo controllo hanno protetto al 100% le piantine, con il Ridomil la mortalità che si era attestata intorno al 6% nel mese di luglio è rimasta inalterata anche a settembre, l’unico prodotto che non ha dato risultati soddisfacenti è stato il Previcur infatti già al primo controllo vi era un 10% di mortalità, di poco inferiore al testimone, arrivata poi al 50% a settembre.  Anche i dati inerenti lo sviluppo vegetativo delle piantine, sono a favore della lotta chimica, infatti i 4 prodotti che hanno dato i migliori risultati contro la malattia, hanno favorito anche lo sviluppo vegetativo ben evidente nel controllo di settembre sul germoglio apicale.
Nella tesi della lotta biologica, dopo 2 mesi solo le due specie di Trichoderma avevano fatta attestare la mortalità delle piantine intorno al 6%, essendo gli altri prodotti quasi totalmente inefficaci. Dopo 4 mesi con tutti e 5 gli antagonisti biologici la mortalità delle piantine è arrivata intorno al 50%.   I negativi risultati conseguiti con gli antagonisti biologici, potrebbero essere imputabili alle pessime condizioni del tempo avute nei mesi estivi  che hanno favorito sicuramente lo sviluppo del parassita e forse meno quello degli antagonisti. Infatti piogge frequentissime e sbalzi termici inusuali, hanno fatto sì che dopo solo 4 mesi dall’inoculazione, nel testimone si avuto una mortalità delle piantine del 60% e, a giudicare dal ridotto sviluppo vegetativo complessivo e del germoglio apicale in particolare, il rimanente 40% risultava già attaccato dalla P.cinnamomi.
Per una razionale gestione della lotta chimica conviene impiegare i diversi principi attivi efficaci alternandoli, onde impedire o limitare l’insorgenza di ceppi resistenti del parassita.

      Altra prova, nel Centro Sperimentale Dimostrativo dell’A.R.S.S.A. di Cropani Marina (CZ), ha fornito una prima valutazione dell’influenza che diversi regimi idrici hanno sull’attacco della Phytophthora cinnamomi a piantine di castagno di 12 differenti varietà: castagne calabresi (“Curcia”, “Fidile”, “M. Decollatura”, “Nserta”, “Nserta Rossa”, “Nsalernitana”, “Nsalernitana-speciale”, “Riggiola”, “Ruvellise”) e marroni non calabresi (“M. Comballe”, “M. Palazzolo”, “M. Roccadaspide”). Piantine da seme delle predette 12 cultivar (di circa 2 mesi di età, aventi altezza media di circa 20 cm, allevate in vasetti singoli di volume 9 l, con terriccio prelevato in un locale castagneto), nel maggio 2006 sono state microferite al colletto e lì inoculate con 5 ml/pianta di una sospensione di 10.000 c.f.u./ml da un pool di 4 ceppi di P. cinnamomi della micoteca del Dipartimento ARBOPAVE dell’Univ. di Napoli Federico II, allevati su V8p (V8 Campbell Soup 150ml; agar 15g; CaCO3 0.5g; piselli 100g; acqua distillata fino a 1000 ml).
Sono state utilizzate 6 piantine per cultivar e per tesi, con tre livelli di innaffiamento: I = a giorni alterni; II = ogni 10 gg;  III = solo in soccorso (quando le piantine testimoni mostrano i primi sintomi di appassimento). I volumi di acqua, distribuiti per pianta  alla fine della prova (dopo 18 mesi) sono stati: tesi I, litri 310; tesi II, litri 60; tesi III, litri 13.     Si è misurato l’accrescimento vegetativo (lunghezza della vegetazione neo-formata sull’asse principale della piantina) dopo 7 mesi. La mortalità delle piantine è stata controllata dopo 2, 7 e 18 mesi dall’inoculazione. Dalle piantine morte è stata reisolata, in coltura pura, la P.cinnamomi.

Dai dati rilevati si evince che, nel breve tempo, l’infezione della P. cinnamomi, in linea generale, è stata favorita dalla maggiore presenza dell’acqua; infatti al controllo dopo 2 mesi si ha una mortalità media delle piantine del 23,6 nella tesi I e rispettivamente 18,1 e 15,3 nelle altre due. Al controllo effettuato dopo 7 mesi, considerando ancora la media generale, la mortalità non appare più correlata ai quantitativi di acqua apportati, anzi all’opposto, la % di mortalità più alta, anche se di poco, si nota nella tesi III. Nel controllo dopo 18 mesi infine, i valori nelle tre tesi sono molto vicini tra loro, anche se quelli della tesi con maggiore presenza di acqua sono tornati ad essere di poco più alti.
Le cultivar hanno mostrato comportamenti molto differenziati. Per  la “Curcia”, “M. Palazzolo”, “Nserta”, “Riggiola” la maggiore presenza dell’acqua ha sempre favorito lo sviluppo della malattia. Per le altre il comportamento è stato abbastanza variegato, per “M. Decollatura”, e “Nsalernitana spec.” che sono apparse tra le meno suscettibili alla P. cinnamomi, la maggiore disponibilità di acqua presente nella tesi I ha inibito del tutto lo sviluppo della malattia. Anche per “Fidile”, e “M. Roccadaspide”, che si sono mostrate, al contrario, tra le più suscettibili, la maggiore presenza di acqua per tutta la durata della prova è servita, in qualche modo, a contenere parzialmente la mortalità delle piantine. Comportamenti intermedi si sono avuti con le rimanenti cultivar. 
La crescita vegetativa delle piantine, in generale è stata minore in maggiore presenza di acqua. Ma stando ai dati relativi alle singole cv, si può raggruppare l’influenza della maggiore o minore presenza di acqua, in tre classi: A = favorevole alla crescita; B = indifferente; C = sfavorevole alla crescita: Nella classe A sono comprese “M. Roccadaspide” e “Nsalernitana spec.” ma è soprattutto nella prima che si nota un chiaro effetto positivo. Nella classe B sono comprese “M. Comballe”, “M. Palazzolo”, “Nserta rossa”, “Riggiola”. Nella classe C troviamo: “Curcia”, “Fidile”, “M. Decollatura”, “Nsalernitana”, “Nserta”, “Ruvellise”.
I diversi regimi idrici hanno influenzato sia la patogenicità (intesa come capacità di attaccare una pianta), che la virulenza (intesa come misura della patogenicità) della P. cinnamomi. Infatti per alcune cv si riscontra che con l’aumentare dell’acqua aumenta anche il numero di piantine morte (virulenza del parassita) (es. “Curcia”, “M. Palazzolo”, “Nserta”, “Riggiola”); per altre l’abbondante e costante presenza di acqua inibisce l’attacco del parassita (patogenicità) (es. “M. Decollatura”, e “Nsalernitana spec.”); queste, infatti, con più bassi livelli idrici sono state attaccate. La mortalità media, generale, delle piantine presente nella tesi III dopo il primo controllo di due mesi è dovuta molto probabilmente alla elevata piovosità registrata in quel periodo, inferiore solo al mese di dicembre, di gran lunga più elevata di quella registrata nel 2007 e della media regionale.
Concludendo, in definitiva, potremmo dire che, soprattutto per vivai e piantonai, per prevenire e/o limitare i danni da mal dell’inchiostro, prima di eventuali interventi chimici mirati, può essere molto importante regolamentare la distribuzione idrica in relazione alla cultivar.

 

2) Gestione dei cedui.

       Lo studio ha interessato cedui di castagno di 5 e 4 anni di età, derivanti dalla conversione a ceduo di un vecchio castagneto da frutto, per verificare la possibilità di adottare tecniche colturali associate alla sfollamento classico allo scopo di ottenere assortimenti legnosi di maggiore qualità.
Le aree sperimentali si trovano nella Presila di Catanzaro, nel comune di Sersale e precisamente in località Vecchiarello, 1.200 m s.l.m. e in località Cavallopoli, 1.000 m s.l.m.. La sperimentazione ha previsto l’adozione di metodologie differenti e il successivo confronto fra piante sottoposte a trattamento e piante testimone, non sottoposte ad alcun intervento.

     A Vecchiarello le tecniche adottate sono state (a) quella dell’asportazione delle gemme sul ceduo già sottoposto a sfollamento, con due diverse intensità di intervento: (a1) rilascio di 4-5 gemme apicali (Fig. 7) e (a2) rilascio del 50% delle gemme presenti, in modo alternato (Fig. 8); (b) quella tradizionale dello sfollamento dei polloni sulla ceppaia. A Cavallopoli, invece, sono state poste a confronto (a) lo sfollamento classico e (b) la potatura di formazione sul ceduo precedentemente sottoposto a sfollamento. I risultati conseguiti nelle aree di intervento sono stati quindi confrontati con le aree testimone dove non è stato eseguito alcun trattamento.

Degemmazione su ceduo già spollonato con rilascio di 4-5 gemme apicali (foto a sinistra)
e rilascio del 50% delle gemme presenti, in modo alternato (foto a destra).

La riduzione del numero di polloni sulla ceppaia ha richiesto un tempo medio di esecuzione di quindici minuti, a differenza della degemmazione su ceppaie già sottoposte a sfollamento, per le quali necessitano mediamente quarantacinque minuti.
   Per ciascuna tesi il campione era costituito da 10 ceppaie poste all’interno di un transect di forma rettangolare. Complessivamente sono stati delimitati 7 transects di dimensioni variabili, comprese tra 80-168 m², che presentano caratteristiche dendro-auxometriche e del soprassuolo diversificate tra le tesi e le due località.  Su ogni ceppaia è stato misurato il diametro a 1,30 m di tutti i polloni. Di ogni pollone è stata misurata l’altezza totale, utilizzata per ricavare la curva ipsometrica (Fig. 9), e quella di inserzione della chioma. Per costruire la curva ipsometrica –per tutte le tesi– è stata utilizzata la equazione:  y= a Ln (Ø) + b ,    dove a e b sono costanti e Ø è il diametro a 1,30 m.
   È stata calcolata anche l’ampiezza della chioma mediante la misura di quattro raggi secondo i punti cardinali. Di ciascuna ceppaia sono state definite anche le coordinate polari rispetto a un vertice del transect, per la localizzazione all’interno dell’area di saggio.

Sulla base dei rilievi eseguiti è stato possibile determinare oltre alla densità di ceppaie e polloni a ettaro, il diametro e l’altezza della pianta di dimensioni medie, l’area basimetrica, il volume e l’incremento medio annuo a ettaro. Per determinare il volume è stata utilizzata la tavola generale del castagno governato a ceduo dell’Inventario Forestale Nazionale Italiano (Maf - Isafa, 1984).

  Fig. 9. Andamento delle curve ipsometriche nelle diverse tesi di Vecchiarello (sinistra) e Cavallopoli (destra).

 

Sulla base dei rilievi effettuati è stato possibile definire i parametri dendro-auxometrici per ogni transect e per ciascuna tesi (Tabelle 1 e 2).

Tesi

Ceppaie /ha

Polloni/ha

Øm (cm)

Hm (m)

G /ha (m²)

V /ha (m³)

I.m.a. (m³/ha)

a1

625

4250

5,1

5,65

8,53

28,7

5,7

a2

714

4357

5,8

5,90

11,52

40,3

8,1

b

826

5372

5,3

5,55

11,63

36,5

7,3

t

595

8274

3,8

5,41

9,60

37,9

7,6

Tab. 1. Cedui di castagno in località Vecchiarello. Elementi dendro-auxometrici.

 

Tesi

Ceppaie /ha

Polloni/ha

Øm (cm)

Hm (m)

G /ha (m²)

V /ha (m³)

I.m.a. (m³/ha)

a

769

5385

3,6

4,82

5,44

17,4

4,4

b

1010

6061

3,5

5,22

6,00

20,2

5,0

t

1250

14875

2,7

4,87

8,61

31,1

7,8

Tab. 2. Cedui di castagno in località Cavallopoli. Elementi dendro-auxometrici.

   A Vecchiarello la distribuzione dei polloni in classi di diametro di 1 cm presenta un andamento tendenzialmente a campana per tutte le tesi, con un campo di variazione compreso tra 2 e 8 cm, con differenze significative tra le tesi (Fig. 2). Dal punto di vista qualitativo i polloni migliori per forma e stato vegetativo si rilevano nelle tesi a2 e b, con fusti raramente colpiti da cancro della corteccia [Cryphonectria (Endothia) parasitica (Murr.) Barr.], privi di curvature alla base. Invece la tesi a1 presenta la maggior parte dei polloni inclinati a oltre un metro dal terreno, con angoli compresi tra 20-25°. Nel testimone (t) sono numerosi i polloni deperienti e inclinati mentre i valori di diametro medio e del numero di polloni a ettaro si differenziano dalle altre tesi.
   A Cavallopoli la distribuzione dei polloni in classi di diametro di 1 cm presenta un andamento tipico a campana per tutte le tesi, con un campo di variazione compreso tra 1 e 6 cm (Fig. 10). Qualitativamente la tesi a presenta i migliori soggetti per forma e stato vegetativo, a differenza delle tesi b e t, nelle quali sono numerosi i polloni curvati a S, inclinati a partire dalla base e altri biforcati ad altezze di poco superiori a un metro dal terreno. La tesi t conferma differenze significative nei valori di diametro medio e numero di polloni a ettaro, rispetto alle altre tesi, mentre i valori di area basimetrica, volume e incremento medio annuo a ettaro risultano elevati.

 Fig. 10. Distribuzione dei polloni in classi di diametro nelle diverse tesi di Vecchiarello (sinistra) e Cavallopoli (destra).

 

Considerazioni finali. Dall’analisi dei dati emersi in località Vecchiarello si evince che lo sfollamento classico consente di ottenere i risultati più favorevoli per la qualità dei polloni, che non presentano difetti evidenti, per gli accrescimenti registrati, oltre che per la facilità di esecuzione (è sufficiente un solo operaio che impiega mediamente quindici minuti per ceppaia). La degemmazione parziale, pur avendo fatto registrare in assoluto gli accrescimenti più sostenuti, richiede un tempo di esecuzione superiore (un operaio impiega mediamente quarantacinque minuti per effettuare la degemmazione su ciascuna ceppaia già sottoposta a sfollamento) rispetto alla sola spollonatura.
In località Cavallopoli non si riscontrano differenze significative in termini di accrescimento e di portamento tra le due tesi messe a confronto, anche se la potatura di formazione sul ceduo sottoposto a sfollamento evita la formazione di nodi e consente di ottenere assortimenti mercantili di pregio.

Nei prossimi anni oltre a proseguire le osservazioni per quanto riguarda l’accrescimento e le caratteristiche dei polloni, verranno effettuati rilievi per controllare anche le caratteristiche qualitative degli assortimenti legnosi ritraibili, in funzione delle richieste del mercato.

 

Bibliografia

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