Il castagno da legno

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6.2.4        Il CASTAGNO DA LEGNO

 

Raffaello Giannini   e     Davide  Travaglini

 D.E.I.S.T.A.F  Università degli Studi di Firenze

 

  (Dal “Piano del settore castanicolo 2010/2013, Documento di sintesi”)

 LA CASTANICOLTURA PER LA PRODUZIONE LEGNOSA

1.  I numeri del settore legno

Nel panorama nazionale, in cui dei 30 milioni di ettari della superficie territoriale ben 10,5 milioni di ettari sono occupati da boschi, la frazione investita a castagno, pur essendo inferiore a quella di varie altre specie, assume un ruolo di tutto rilievo rappresentando nel complesso ca. il 2,62% dell’intera superficie territoriale italiana ed il 7,53% di quella  forestale.
Le formazioni di castagno per la produzione di legname sono presenti in tutte le Regioni d’Italia. Si tratta di soprassuoli  la cui estensione varia da poche centinaia di ettari fino a oltre 150.000  ha, concentrandosi in poche Regioni; infatti le estensioni del Piemonte, Toscana e Liguria sono pari ad oltre il 50% del patrimonio nazionale. Comprendendo le Regioni che hanno un patrimonio superiore a 30.000 ha (Lombardia, Calabria, Campania, Emilia Romagna e Lazio), si giunge al 90%dell’intera superficie nazionale, ne deriva che oltre il 50% delle Regioni hanno superfici castanicole molto modeste.
Le stazioni su cui insistono i castagneti sono classificabili di alta-collina e/o media montagna, ubicandosi nella zona media dei versanti. I castagneti sono interessati da varie infrastrutture di cui quella viaria è la più diffusa. Malgrado ciò oltre i ¾ del patrimonio castanicolo nazionale è privo di infrastrutture, valore che riflette un carente quadro che accomuna tutte le Regioni. La loro assenza purtroppo rende difficile l’attività gestionale, appesantendo notevolmente i bilanci delle utilizzazioni forestali riducendo e/o talvolta o rendendo negativo il valore di macchiatico degli interventi selvicolturali.
Dai dati dell’INFC si rileva che le aziende che producono legno, data anche la loro dimensione prevalentemente contenuta, si caratterizzano per ospitare un soprassuolo coetaneo (aziende particellari).
Gli ecosistemi di castagno si caratterizzano per una spiccata sensibilità verso i processi di degrado. Dall’analisi dei dati emerge che i parassiti sono gli agenti più devastanti, che possono interessare tutta la superficie castanicola.

2. La filiera della castanicoltura da legno

L’organizzazione del primo segmento della filiera foresta-legno, ivi compreso quello del settore del legno di castagno, si caratterizza per la presenza di due realtà imprenditoriali quali l’impresa di produzione forestale, nota anche come  Azienda Forestale o proprietà forestale (di seguito AF), nonché l’Impresa di  Utilizzazione e  Prima  Trasformazione nota anche come ditta o impresa forestale (di seguito IU&PT), strutturazione spiegabile soprattutto all’esiguità delle estensioni dei singoli patrimoni aziendali nonché alla lunghezza pluriennale dei turni.
L’AF rappresenta il contesto territoriale in cui si svolge l’attività di produzione, mentre l’IU&PT è quella realtà, strumentale alla prima, che consente la valorizzazione del prodotto sul mercato. Si tratta di due  entità normalmente distinte ed indipendenti, con obiettivi economici diametralmente opposti ma complementari per quel che riguarda i capitali.
L’AF si caratterizza per la netta prevalenza del capitale fondiario e legnoso. Le decisioni imprenditoriali più rilevanti riguardano  l’opportunità e il momento per effettuare  interventi selvicolturali intercalari e di fine turno al soprassuolo, nonché a quale IU&PT è opportuno affidarli. La seconda, invece, ha la sua specificità nel possesso del capitale di esercizio, di quello umano nonché dell’esiguità del capitale fondiario finalizzato per il ricovero degli strumenti. Essa utilizza il soprassuolo in relazione agli assortimenti merceologicamente apprezzati dal mercato, operando all’interno del mercato dei servizi (appalto per l’esecuzione dell’abbattimento della massa legnosa) o dei beni (acquisto della massa legnosa in piedi).
Nel totale, oltre il 75% dei castagneti è destinato alla produzione di legno. Dai castagneti da frutto,che ammontano a 148.000  ha,  di cui però non si conosce lo stato di abbandono o l’intensità di coltivazione, la produzione legnosa viene impiegata soprattutto per legna ad uso energetico da parte dei proprietari stessi.
I castagneti sono per la quasi totalità di proprietà privata ( oltre il 90%), rimanendo pubblica una frazione piuttosto esigua (9%). Tra la proprietà privata domina in forma preponderante, quella individuale (85%), mentre dal lato pubblico i Comuni e le Province possiedono oltre i ¾ della proprietà pubblica.
Questo assetto fondiario ha evidenti ricadute sulle scelte imprenditoriali, poiché le piccole aziende hanno la tendenza a monetizzare  con maggior frequenza possibile il reddito periodico che deriva dalla vendita del soprassuolo, a prescindere dalle loro potenziali capacità produttive e di mercato. Per la massimizzazione del reddito periodico si ricorre  prevalentemente ad una gestione consuetudinaria.
Atteggiamento ben diverso potrebbe caratterizzare le grandi aziende. Tra  esse,  quelle che potrebbero meglio sfruttare le opportunità di mercato sono le poche grandi di proprietà privata, che si mostrano più sensibili alle indicazioni del mercato.

3. Criticita’

In generale, le criticità delle aziende per la produzione di legno di castagno sono:
a) carenza di informazioni relative sia alla struttura delle aziende castanicole che alla loro possibilità produttiva in termini di massa legnosa;
b) eccessiva frammentazione fondiaria che impedisce l’attivazione di una gestione capace di valorizzare al meglio le potenzialità produttive e le possibilità di impiego del legname;
c) basso tasso di imprenditorialità nella gestione forestale che tende a salvaguardare il reddito integrativo che esse assicurano, attraverso i modelli gestionali consuetudinari.

Nell’ambito di questa  ultima  tematica è necessario valorizzare le potenzialità economiche della specie attraverso la diversificazione ed il miglioramento della qualità degli assortimenti. E’ indispensabile tra l’altro puntare alla  valorizzazione del prodotto legno, qualificandolo attraverso l’ottenimento di marchi che attestino che i processi produttivi, ovvero il trattamento selvicolturale applicato, siano conformi agli standard di gestione sostenibile in termini ecologici, sociali ed economici (ecocertificazione) E’ importante che il prodotto sia caratterizzato da particolari specificità (marchi di qualità) e quindi dovrebbero trovare spazio azioni pubbliche di “sponsorizzazione” o “public procurement” che possano accordare la preferenza all’impiego di legno di castagno per la realizzazione di opere finanziate anche con sostegno pubblico (ristrutturazioni di immobili rurali, arredamento di parchi pubblici, barriere fonoassorbenti, opere di bioingegneria, ecc.). Tale scelta dovrebbe essere fortemente motivata dal fatto che il castagno assicura buone caratteristiche tecnologiche e in particolare non necessita, data la naturale durabilità, di trattamenti chimici preservanti che hanno impatti negativi sull’ambiente. Il campo di applicazione  interessaquei contesti stazionali, strutturali e sociali che permettono di utilizzare in pieno le specifiche caratteristiche biologiche (rapidità di accrescimento, pronta ristrutturazione sociale) e la produzione di legname di qualità. Impegno non indifferente coinvolge il recupero di popolamenti irregolari abbandonati da interventi selvicolturali, ma potenzialmente atti ad elevate produzioni legnose.

 

 Le POLITICHE  NAZIONALE ED EUROPEA PER IL SETTORE  FORESTALE

Negli ultimi decenni le politiche per il settore forestale sia a livello nazionale sia al più ampio livello comunitario e internazionale sono state oggetto di una importante revisione. Questo ha comportato una modifica del contesto giuridico e normativo, determinando una riconsiderazione del tradizionale ruolo produttivo svolto dalle foreste. Le produzioni di beni e servizi senza prezzo (ambiente, paesaggio, biodiversità, protezione del suolo) che in passato venivano considerate secondarie rispetto alla produzione di legno, legname e prodotti non legnosi, hanno assunto una nuova importanza sia nelle scelte decisionali a livello micro, che nella formulazione delle politiche settoriali e di sviluppo regionale. In particolare le azioni a favore delle risorse forestali e del settore produttivo a esse collegato sono state, negli ultimi anni, orientate a una valorizzazione multifunzionale del ruolo delle foreste, soprattutto nella tutela dell’ambiente e delle risorse naturali, oltre che nella protezione del territorio e del paesaggio.
Sul lato delle politiche i cambiamenti più rilevanti si sono verificati a partire dalla fine degli anni novanta, con l’approvazione a livello comunitario della Strategia forestale europea. Poco più tardi, sul fronte dello Sviluppo rurale, con Agenda 2000 e con il più recente Forest Action Plan (FAP).
Per le Regioni italiane si è trattato di un cambiamento di non poco conto. Alcune azioni di politica forestale che precedentemente venivano attuate direttamente con risorse regionali sono state ammesse al cofinanziamento comunitario. Per contro però lo stesso meccanismo del cofinanziamento comunitario ha fatto sì che le Regioni abbiano  destinato la maggior parte delle proprie risorse alle misure cofinanziabili, abbandonando altre azioni che non trovavano possibilità di finanziamento nell’ambito delle politiche di Sviluppo rurale. Si potrebbe dire che le misure forestali siano cresciute come importanza finanziaria, ma siano state, in un certo senso, omologate a uno standard europeo.

            

 AUTOECOLOGIA DELLA SPECIE Castanea sativa Miller  (testo del Gruppo di lavoro coordinato da R. Giannini).

In Europa il castagno è presente nelle regioni montuose temperate e temperato-calde ed è coltivato fra i 300 e i 1000-1200 m s.l.m., in funzione della latitudine e delle caratteristiche climatiche delle singole zone.A livello ecologico, questa specie «trova la sua naturale area di diffusione nei terreni prevalentemente silicei della zona climatica che da essa riceve il nome e cioè del Castanetum, dove cresce e vegeta quasi sempre allo stato puro, tanto se viene trattata a ceduo che ad alto fusto» (Merendi, 1931).
In Italia l’areale del castagno è influenzato più dall’altitudine che dalla latitudine. Esso inizia a vegetare al di sopra della zona della macchia mediterranea sempreverde dove il clima si fa più freddo in inverno, mentre cresce la quantità di pioggia. All’aumentare dell’altitudine il castagno è sostituito dal faggio (Pavari, 1931; De Philippis, 1956).
Più in generale il castagno è una specie a temperamento mesofilo  cioè adatto a climi con temperature relativamente miti e privi di forti escursioni termiche. È una specie  molto sensibile alle gelate tardive. Trova condizioni soddisfacenti nell‟area di vegetazione delle querce caducifolie.
Le temperature possono influenzare notevolmente il suo sviluppo fino a causarne anche la morte, quindi esistono dei valori limite da non superare per non incorrere in problemi. Il limite freddo si ha con una temperatura media annua di 8°C  (al di sotto di tale limite le fruttificazioni diventano irregolari); i danni da freddo si verificano al di sotto dei -25°C; infine per una buona attività vegetativa sono necessari non meno di 6 mesi con una temperatura media maggiore di 10°C (Bernetti, 1995).
Il castagno è specie che richiede disponibilità idrica ed è da considerarsi mediamente eliofila. Secondo il Piccioli (1922) le sue esigenze di luce sono intermedie tra il faggio e la rovere, mentre Bernetti (1987) lo avvicina al carpino bianco.Per un buon sviluppo della pianta le precipitazioni  devono superare una media annua di 600 mm. Nel caso di annate siccitose viene compromessa la regolare fruttificazione. Piogge intense durante il periodo della fioritura danneggiano l’impollinazione, estati molto piovose facilitano l’attacco di patogeni alle foglie.
La specie è esigente in fatto di terreni, che devono essere sciolti, leggeri, freschi, ricchi di potassio e fosforo. Generalmente i suoli sabbiosi o sabbioso-limosi sono ideali per il castagno perché garantiscono un buon arieggiamento dell’apparato radicale e garantiscono un buon deflusso delle acque evitando dannosi ristagni idrici. Ottimi i suoli vulcanici. Per un buon sviluppo della pianta sono necessari anche la giusta quantità di sostanze azotate, minerali e di humus che per il castagno si riscontrano in terreni neutri o subacidi. Nei terreni più acidi, gli accrescimenti sono ridotti. Il castagno può crescere anche su terreni derivanti da rocce carbonatiche, ma solo con elevata piovosità. In Italia, infatti, vegeta su montagne calcaree, ma completamente decalcificate, come la “terra rossa” del Carso e le Alpi Apuane (Pavari, 1931).Il ciclo biologico del castagno può essere cronologicamente distinto in quattro fasi che vanno dalla foliazione alla fioritura (da fine aprile a metà giugno), dalla fioritura alla fruttificazione (da metà giugno a ottobre), dalla fruttificazione alla defoliazione (da ottobre a novembre) e dalla defoliazione  alla fogliazione (da novembre a fine aprile). La maturazione del frutto si completa in circa 110 giorni (Fenaroli, 1945), che coincide con il periodismo climatico delle nostre regioni.

Il castagno può raggiungere età e dimensioni eccezionali. Solitamente un castagno cresce rapidamente fino agli 80-100 anni, poi più lentamente, arrivando facilmente all’età di 400-500 (anche 1000) anni  (qualche esemplare, in condizioni favorevoli di vita, anche età maggiori). Il più famoso esemplare (detto dei  cento cavalli, ormai distrutto) si trovava in Sicilia sull’Etna e aveva un’età stimata in 4000 anni (Fiori, 1931).
Le piante raggiungono altezza massima di 30-35 m e la chioma è espansa e con grossi rami.
La corteccia è prima liscia e di colore rossastro, e nei rami e nei polloni giovani presenta delle piccole lenticelle biancastre; verso i 20-25 anni inizia a screpolarsi, per  essere spessa nei vecchi tronchi.

 

 TIPOLOGIA DELLE FORMAZIONI FORESTALI A PARTECIPAZIONE DI CASTAGNO

1. Caratteristiche e aspetti funzionali dei castagneti da frutto

Il castagno, secondo Senni (1940), era più importante come pianta da frutto che da legno, e la sua coltivazione rappresenta l’anello di congiunzione tra la selvicoltura e l’arboricoltura per le cure di cui abbisogna.  Questo oggi è cambiato perché  la contrazione della superficie occupata dalle selve castanili è stata continua (Piccioli (1922) dagli ultimi decenni del 1800, e fortissima negli ultimi 40 anni, a vantaggio dei soprassuoli da legno. I castagneti da frutto sono caratterizzati da una densità (100-150 piante ad ettaro) che può variare sensibilmente:  in generale i castagneti edificati da cultivar di pregio per frutto da consumo fresco (marroni) hanno densità minori di quelli realizzati con varietà per farina. Tipico l’esempio della Grafagnana (LU) dove il tipo marrone era sconosciuto e la densità più frequente riguardava 245-300 piante ad ettaro. In alcune zone del Paese (Basilicata, Monte Volture) esiste una forma particolare di ceduo da frutto, cioè un ceduo composto con circa 200 matricine a ettaro innestate (Lopinto, 1989).
Si può affermare anche che la struttura delle selve castanili abbia conservato l’identità e la fisionomia  di un tempo perché ancora si tratta di parte delle selve citate e censite dal Senni. Questo fatto ha una valenza particolare nei confronti della produzione del frutto e della filiera produttiva ad essa correlata  questa ultima è ancor oggi dipendente dalle selve di un tempo che furono realizzate in modo differenziato per impiegare in modo corretto ed a proprio beneficio le capacità addattative delle differenti varietà del castagno. In questo senso valgono le parole di Lorenzini (1907) …“«la sana esperienza insegna di adattare secondo i versanti e le altezze, essendo alcune più precoci, altre tardive. Queste ultime più ricercate si coltivano nelle regioni inferiori e sono il ben noto Marrone….».
I castagneti da frutto, soprattutto nelle zone dove si coltivano varietà da farina, manifestano frequentemente sempre più spesso i  sintomi dell’abbandono colturale mentre appaiono evidenti i risultati della dinamica successionale che tendono a cancellare la fisionomia strutturale favorendo e l’aumento della naturalità del soprassuolo (Ciancio et al., 2001).

2. Caratteristiche e aspetti funzionali dei boschi di castagno da legno

In questo caso si fa riferimento al ceduo di castagno che occupa una superficie di 593243 ha, pari al 98% della superficie a prevalente funzione legnosa, essendo irrisoria la superficie occupata da fustaie da legno.
Il castagno è fra le piante che meglio si prestano al governo ceduo per l’abbondanza di gemme dormienti  alla base del colletto e per la capacità della facoltà pollonifera a perdurare nel tempo.
Il ceduo di castagno è trattato per lo più allo stato semplice con poche matricine (40-80 per ettaro) tenute per un solo turno. Occasionalmente si trovano anche forme di ceduo disetaneo (Gennargentu, Montemignaio, Valli del Pasubio).
A livello strutturale, i cedui di castagno possono essere ripartiti in due grandi categorie: i cedui governati in tal modo da lunga data (con 1000-2000 ceppaie per ettaro) e la seconda relativa ai cedui derivanti dalla conversione più o meno recente di castagneti da frutto (circa 400-600 ceppaie per ettaro). Questi ultimi con l’aumentare del numero delle ceduazioni rientrano con il tempo nella prima categoria.
Il ceduo può fornire una quantità innumerevole di assortimenti mercantili e offre la possibilità di spostarsi da un assortimento all’altro variando solo la lunghezza del turno. La produzione di legna da ardere è solo marginale a causa della presenza del tannino che non assicura una buona combustibilità. L’assortimento più frequente è la paleria.
I turni variano a seconda delle località e degli assortimenti che si vogliono ottenere, ma di solito variano tra 10 e 25 anni. Nel passato erano note utilizzazioni a 2-3 anni per la produzione di ceste e cestelli (Calabria) e tutori per fiori (Toscana - Amiata).
Dal punto di vista dei prodotti legnosi questi possono essere diversi e di interesse appaiono, oltre alla paleria, gli assortimenti legati alla vinificazione e quelle destinati all’edilizia rusticoagreste.
In generale possiamo affermare che il ceduo di castagno rappresenta un ecosistema forestale antropizzato che ad una valenza ambientale connessa all’impatto dell’utilizzazione (Mattioli et al.,2008), associa una elevata potenzialità (rapida crescita) i cui prodotti possono trovare, se adeguatamente valorizzati in appropriate filiere produttive, spazi di alto interesse economico-finanziario.

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