Risposte date dagli esperti

 

3.2     LEGNO E FORESTAZIONE

(indietro)

Sull’argomento, per conoscere la situazione attuale, per meglio comprendere la problematica, le soluzioni, le strategie, le azioni possibili, si consultino in questi ATTI  i seguenti documenti:

---in RELAZIONI SU INVITO:  2.4,   Il castagno da legno, di Giannini Raffaello e Travaglini Davide
---in RELAZIONI SU INVITO:  2.5,  Green economy e Foreste di castagno: prospettive e criticità nel post 2013, di Carbone Francesco
---in APPROFONDIMENTI:  6.2.4,  Il castagno da legno (dal Piano di settore castanicolo 2010-13)di Giannini Raffaello e Travaglini Davide
---in APPROFONDIMENTI:   6.2.5,  Prospettive e criticità del legno di castagno (contributo del legno di castagno alla Green economy), di Carbone Francesco
---in APPROFONDIMENTI:  6.2.3,   Castagno, albero multivalente da riscoprire, rivalutare e impiegare, di Castellotti  Tatiana e Grassi Giorgio
---in APPROFONDIMENTI:   6.3.2,  Castanicoltura in Calabria, prove di lotta al mal dell’inchiostro e  di gestione dei cedui, di  Scalise Antonio

 

A proposito della certificazione

Quali e quante sono le certificazioni per le foreste ed il legno?     (Romagnoli, Carbone)

Vi sono varie certificazioni, ciascuna riguarda profili diversi seppur del medesimo bene. In relazione all’oggetto certificato si possono distinguere la certificazione di prodotto e la certificazioni di sistema.
·         Una certificazione di prodotto si basa su disciplinari ovvero su norme di prodotto che sottopongono a regole ben precise le modalità con cui un prodotto viene ottenuto e le sue caratteristiche. Di fatto la Marcatura CE può essere considerata una certificazione di prodotto dove viene attribuito un marchio di conformità a requisiti essenziali di sicurezza, salute, ma anche a requisiti di prestazione. I prodotti muniti di certificazione CE possono circolare liberamente nei paesi dell'UE.
·         La certificazione di sistema coinvolge tutte le fasi del processo di produzione del manufatto (es. ISO 9000).

Altresì le certificazioni possono distinguersi le autocertificazioni, la certificazione obbligatoria, quella regolamentata e quella volontaria. In particolare:
·         autocertificazioni (= attestazioni): è il produttore stesso che svolge si assume la responsabilità della veridicità di quanto affermato. La forza dell’autocertificazione è fondamentalmente proporzionale alla reputazione dell’impresa sul mercato e/o dalla forza attrattiva del profilo certificato. Qualsiasi imprenditore di qualsiasi settore se ne può avvalere, ivi compresi gli imprenditori del settore legno (es. pellet “certificato puro ed ambientale”);
·         la certificazione obbligatoria è quella imposta per dal quadro normativo (nazionale e/o comunitario) che diviene condizione imprescindibile affinché il del prodotto possa essere commercializzato. Essa di fatto attesta la conformità del prodotto rispetto a degli standard pre-definiti che riguardano la sicurezza dei lavoratori, dei consumatori e la tutela dell’ambiente (es. marcatura CE del legno: sancisce l’idoneità del legno di castagno per fini strutturali in ambito europeo);
·         la certificazione regolamentata è quella per cui esiste un quadro nazionale e/o comunitario ben definito a cui un qualsiasi produttore può liberamente aderire e, successivamente a questa scelta, non può derogare alla stessa. Ricorrente nel settore agroalimentare (DOP, IGP, etc), non si registrano esempi per il settore legno, mentre si hanno per i prodotti non legnosi delle foreste (es, castagne, funghi, etc.);
·         la certificazione volontaria, detta anche di parte terza, è quella in cui l’adesione allo standard è una libera scelta del produttore e gli standard sono definiti da istituzioni private. Un soggetto terzo provvede a verificare se sussistono i requisiti alla certificazione dell’azienda. E’ il caso della certificazione della gestione forestale sostenibile di cui vi sono due standard uno promosso dal Forest Stewardship Council (FSC) e l’altro dal Programme for the Endorsement of Forest Certification (PEFC).

 

Vendono pellet di abete “certificato puro e ambientale”, che significa?   (Romagnoli, Carbone)

Analizzando tale dizione si evince che l’impresa intende evidenziare al consumatore che il prodotto che acquista è:
·         pellet di abete,
·         puro, ovvero non mischiato con altre specie,
·         ambientale, ovvero che trattasi di un prodotto dai minimi impatti ambientali sia in fase di produzione, che di consumo.
     Sui Castelli col castagno sarebbe possibile adottare il medesimo logo, … se non si andasse incontro ad un problema di plagio.
     In generale si tratta di una “autocertificazione” nell’intento di differenziarlo dagli altri prodotti sul mercato per attrarre i consumatori sensibili a queste tematiche.

 

C’è certificazione forestale e certificazioni di legno di castagno?    (Carbone)

La “certificazione forestale” è una dizione generica con cui talvolta, e non senza ambiguità, ci si riferisce alla certificazione della gestione forestale sostenibile (es. PEFC ed FSC) che ha per oggetto il sistema di gestione della foresta. Essa si distingue dalla certificazione del legno che, invece, attiene alla conformità del prodotto ai relativi standard dimensionali e prestazionali (es. Marcatura CE).

 

Cosa si certifica?    (Romagnoli, Carbone)

La marcatura CE del legno per uso strutturale è obbligatoria. Nel caso del castagno la normativa tecnica consente la certificazione negli assortimenti lavorati a spigolo vivo (quindi con una debole tolleranza di smusso stabilita dalla normativa). Per gli assortimenti di castagno lavorati uso Fiume, alcune aziende hanno attivato una procedura per l’ottenimento del Benestare Tecnico Europeo. In alternativa si può utilizzare una presunzione di conformità del prodotto con una procedura di Qualificazione Ministeriale secondo quanto stabilito dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. In quest’ultimo caso il prodotto però può essere commerciato solo in ambito nazionale e si deve fare riferimento alla sezione geometrica dell’assortimento, non a quella nominale.
La certificazione della gestione forestale sostenibile (FSC e PEFC), invece attesta che il bosco da cui proviene un determinato prodotto (dagli assortimenti da opera a quelli per fini energetici) è stato gestito coerentemente con i principi e criteri propri del relativo standard di certificazione. I boschi sono identificabili come “boschi sottoposti alla gestione forestale sostenibile”. L’assortimento conseguito da tali boschi conserva questo carattere lungo tutta la filiera di trasformazione, allorché tutte le unità presso cui è stato oggetto di lavorazione condividono il medesimo standard, fino al mercato finale, laddove il consumatore lo acquista con la consapevolezza che la sua produzione non ha contribuito (in senso generale ed astratto) alla distruzione del patrimonio forestale mondiale.
Un assortimento uso Fiume di castagno, può avere la certificazione della gestione forestale sostenibile che lo qualifica sul mercato in relazione alle modalità di gestione della foresta da cui proviene il tronco. Questa lo differenzia dagli altri prodotti analoghi non certificati, mentre deve avere la Marcatura CE per poter essere messo in opera, all’interno dell’UE, come legno per uso strutturale.

 

In quanti modi si può certificare?  (Carbone)

A questa domanda deve rispondersi in termini molto generali: dipende dal tipo di certificazione. Soffermandosi alla certificazione della gestione forestale sostenibile, i due schemi (FSC e PEFC) principali seguono procedure diverse. Lo schema FSC si avvale di un sistema proprio ed autonomo, in cui i certificatori seguono un corso di formazione specifico che gli conferisce la competenza a certificare, mentre lo schema PEFC si avvale di un organismo certificatore indipendente che rilascia il certificato se supera i controlli di conformità rispetto allo standard.

 

Certificare rende? (ovvero, crea un valore aggiunto sul mercato a favore dell’impresa certificata, oppure, consente una differenziazione del prodotto dell’impresa sul mercato?    (Carbone)

L’autocertificazione può creare un valore aggiunto per l’impresa in relazione alla reputazione di mercato dell’impresa. La certificazione obbligatoria non crea una differenziazione sul mercato, tuttavia, se il produttore non la possiede (marcatura CE), il prodotto non può essere impiegato per usi strutturali. La certificazione obbligatoria è una condizione per poter accedere ad un determinato segmento di mercato, qualora il produttore ne fosse sprovvisto, deve valutare l’entità dei mancati introiti che ne derivano. All’interno di una strategia di marketing anche la certificazione obbligatoria potrebbe fornire un proprio valore aggiunto.
La certificazione volontaria è particolarmente efficace per creare una differenziazione dei prodotti sul mercato. Ovviamente il risultato dipende dalla sensibilità del consumatore. Se il consumatore è indifferente e/o ignora le tematiche generali sull’ambiente, oppure non conosce il concetto di gestione forestale sostenibile, ovviamente non ravvede alcun motivo per differenziare tra prodotto certificato e prodotto convenzionale, adottando il criterio del prezzo come parametro discriminante tra i due prodotti. In questa situazione è presumibile che opterà per il prodotto non convenzionale se esistesse un gradiente di prezzo. Viceversa, se il consumatore è il cosiddetto “consumatore responsabile” egli opterebbe per il prodotto certificato anche se dovesse pagare un prezzo (lievemente) maggiore (l’incremento del prezzo dovrebbe coprire l’incremento dei costi dell’impresa per la certificazione!!!!).

 

Certificare costa, è una presa in giro?     (Carbone)

La certificazione della gestione forestale sostenibile è uno strumento per gli operatori del settore. Per il suo conseguimento sostengono certamente dei costi la cui entità varia a seconda della loro situazione di partenza (es. dato che un elemento imprescindibile è rappresentato dalla pianificazione, se la azienda ne fosse già in possesso, i costi sarebbero più contenuti, se dovesse realizzarlo i costi sono maggiori.
Acquisendo la certificazione della gestione forestale sostenibile, l’azienda si impegna ad operare coerentemente con il protocollo a cui ha deciso liberamente di aderire.  L’obiettivo della certificazione è dunque conseguito. Se l’azienda non intendesse seguirlo, è la stessa che se ne assumerebbe le relative responsabilità.
Il quesito se essa sia tutto un raggiro per le aziende forestali deriva dalla constatazione che il mercato non appare apprezzare tale innovazione. Se il mercato è, e sarà, solo quello locale nonché non verranno attivate misure per la sensibilizzazione dei consumatori, fatti salvi dei casi particolari, molto probabilmente l’apprezzamento sarà molto contenuto; maggiori opportunità offre il mercato nazionale, ma soprattutto il mercato internazionale. E’ bene tuttavia, sottolineare che una grave responsabilità in materia deve imputarsi agli enti ed istituzioni pubbliche (il più grande consumatore di beni sul mercato), che nelle proprie commesse in cui coinvolgono prodotti in legno, non pongono quale condizione l’obbligo che questo provenga da boschi gestiti in modo sostenibile.

 

In cosa differiscono FSC e PEFC?    (Carbone)

Per un apprendimento specifico si visiti i relativi siti:
·         FSC:      http://www.fsc-italia.it(sito nazionale); http://ic.fsc.org(FCS internazionale):
·         PEFC: http://www.pefc.it(sito nazionale); http://www.pefc.org(PEFC internazionale).
La differenza sostanziale riguarda i principi ed i criteri adottati dai rispettivi standard (tab. 1).

Tab. 1: principi del FSC e criteri del PEFC

FSC: standard di buona gestione forestale

PEFC: Criteri per la gestione forestale sostenibile

PRINCIPIO 1: RISPETTO DELLE NORME. La gestione forestale rispetta tutte le leggi pertinenti in vigore nel paese interessato, i trattati e accordi internazionali sottoscritti dal paese e i Principi e Criteri definiti dal FSC.

PRINCIPIO 2: PROPRIETÀ E DIRITTI D’USO. La proprietà e i diritti d’uso della terra e delle risorse forestali sono chiaramente definiti, documentati e stabiliti su basi legali.

PRINCIPIO 3: DIRITTI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE. Sono riconosciuti e tutelati i diritti legali e consuetudinari delle popolazioni indigene relativi al possesso e alla gestione della terra e delle risorse forestali.

PRINCIPIO 4: RELAZIONI CON LA COMUNITÀ LOCALE E DIRITTI DEI LAVORATORI. Gli interventi di gestione forestale mantengono e migliorano il benessere economico e sociale di lungo periodo dei lavoratori forestali e delle comunità locali.

PRINCIPIO 5: BENEFICI DERIVANTI DALLE FORESTE. Gli interventi di gestione forestale incoraggiano l’uso dei diversi prodotti e servizi della foresta per assicurare l’efficienza economica e il più ampio spettro di benefici ambientali e sociali.

PRINCIPIO 6: IMPATTI AMBIENTALI. La gestione forestale conserva la diversità biologica e i conseguenti benefici collegati alla tutela delle risorse idriche, dei suoli, degli ecosistemi fragili, del paesaggio; così facendo sono mantenute le funzioni  ecologiche e l’integrità della foresta.

PRINCIPIO 7: PIANO DI GESTIONE. E' predisposto, realizzato e aggiornato un piano di gestione forestale appropriato alla scala e all’intensità degli interventi. Nel piano sono chiaramente definiti gli obiettivi di lungo periodo della gestione e le modalità per raggiungerli. I piani di gestione forestale o gli strumenti pianificatori equiparati devono essere approvati ai sensi delle normative nazionali e/o regionali, in vigore o in revisione.

PRINCIPIO 8: MONITORAGGIO E  VALUTAZIONE. Viene effettuato un monitoraggio, appropriato alla scala e all’intensità degli interventi, per valutare le condizioni della foresta, le produzioni forestali, la sequenza delle decisioni, le attività di gestione e i relativi impatti sociali e ambientali.

PRINCIPIO 9: MANTENIMENTO DELLE FORESTE DI GRANDE VALORE AMBIENTALE. L'attività di gestione delle foreste caratterizzate da grandi valori ambientali consente di mantenere o migliorare gli elementi che contribuiscono a definire tali valori. Le decisioni riguardanti le foreste di grande valore ambientale sono sempre considerate nel contesto di un approccio precauzionale.

PRINCIPIO 10: PIANTAGIONI. Le piantagioni sono programmate e gestite in accordo con i precedenti Principi e Criteri (da 1 a 9), con il seguente Principio 10 e con i relativi Criteri. Oltre a fornire una serie di benefici sociali ed economici alla collettività e a contribuire al soddisfacimento della domanda mondiale di prodotti forestali, le piantagioni risultano complementari alla gestione delle foreste  naturali, riducendo la pressione su di esse e promuovendone il ripristino e la conservazione.

CRITERIO 1: mantenimento e appropriato miglioramento delle risorse forestali e loro contributo al ciclo globale del carbonio.

CRITERIO 2: mantenimento della  salute e vitalità degli ecosistemi forestali.

CRITERIO 3: mantenimento e sviluppo delle funzioni  produttive nella gestione forestale (prodotti legnosi e non legnosi).

CRITERIO 4: mantenimento, conservazione e appropriato miglioramento della diversità biologica negli ecosistemi forestali.

CRITERIO 5: mantenimento e appropriato miglioramento  delle funzioni protettive nella gestione forestale (con specifica attenzione alla difesa del suolo e alla regimazione delle acque).

CRITERIO 6: mantenimento delle  altre funzioni e delle condizioni socio–economiche.

 

 

 

A proposito dei caratteri del legno di castagno

Il legno di castagno ha caratteristiche sue, per quali usi tecnologici è più indicato?   (Romagnoli)

Ha un ottimo rapporto tra massa volumica e prestazioni meccaniche pertanto, anche se ovvio, va riconosciuto che il legno  è particolarmente idoneo per usi strutturali.
E’ ecosostenibile per eccellenza, essendo un legno durevole, può essere utilizzato nelle classi di utilizzo più a rischio, ovvero a contatto con il terreno e con una umidità permanentemente sopra il 20%. A questo proposito va però detto che è argomento di discussione l’effettiva resistenza del legno ottenuto nei soprassuoli particolarmente giovani. Per queste caratteristiche intrinseche del materiale, la paleria ha già un suo mercato, ma il prodotto è sottovalutato rispetto alle potenzialità. Gli assortimenti con una maggiore regolarità nella forma possono trovare utilizzo in prodotti a maggior valore aggiunto come i giochi da giardino.
Conosciuto è l’impiego per perlinature, ricoprimento dei soffitti, pavimenti.
Mentre il lamellare per infissi è stato sufficientemente testato, non ci sono ancora i requisiti per un lamellare per uso strutturale, anche se in linea teorica ci sarebbero i presupposti per testare e rendere il prodotto idoneo al mercato.
Barriere fonoassorbenti, pannelli di legno massiccio, tranciati, prodotti ricomposti  sono possibilità di produzione non ancora sufficientemente sviluppate.
Bioraffineria. Il tannino ottenuto dagli scarti di lavorazione è sostanza dichiaratamente idonea per la concia delle pelli, ma le proprietà antiossidanti lo rendono  utilizzabile per diete animali e con prospettive anche nella cosmetica.
Il residuo detannizzato può essere idoneo per la produzione di pannelli isolanti.

 

C’è qualità e qualità di legno di castagno?    (Romagnoli)

Sì, le limitazioni sono dovute alla forma non regolare ed alle ridotte dimensioni diametrali dei fusti che limitano l’ottenimento di prodotti a maggior valore aggiunto. La cipollatura è ben conosciuta come difetto.  Ci sono differenze anche nelle prestazioni meccaniche. Come criterio di carattere generale le esperienza condotte nel Lazio hanno dimostrato come il legno proveniente da soprassuoli calcarei ha maggiori valori di resistenza meccanica ed un minor rischio di cipollatura. Un discorso più articolato andrebbe affrontato in relazione alla lavorabilità degli assortimenti.

 

Sui Castelli la cipollatura in certi boschi colpisce più di altri, si può far nulla?   (Romagnoli)

Le esperienze condotte su due siti della zona dei Castelli Romani hanno mostrato come ci sia una forte presenza della cipollatura, seconda solo alla zone dei Monti Cimini nel Lazio.
Una gestione selvicolturale oculata con diradamenti precoci dovrebbe dare origine ad assortimenti con minor rischio di cipollatura. Una minore curvatura dei fusti alla base è un ulteriore parametro che garantisce una migliore qualità del legno.
Poco si può fare nella dimostrata predisposizione genetica di alcune ceppaie di castagno rispetto ad altre.

 

 

A proposito … dell’economia della castanicoltura da legno

 

Se il castagno da legno rende poco, cosa fare?   (Romagnoli, Carbone)

I boschi sono una destinazione d’uso del suolo vincolata per pubblico interesse. Le eventuali alternative debbono ricercarsi sempre e comunque in questo alveo. La strategia è fare investimenti per accrescere la qualità, quantità ed economicità delle produzioni. Tra le ipotesi che si suggeriscono vi sono interventi sulle infrastrutture, il miglioramento della gestione dei soprassuoli, l’allungamento programmato dei turni fino anche alla conversione a fustaia (si vedano i risultati delle sperimentazioni di Amorini e Nocentini nell’Appennino Toscano), nonché valorizzare le produzioni da opera. Si potrebbe ancora introdurre piantagioni in ex coltivicon varietà maggiormente idonee alla produzione di legno di qualità.
   L’altra ipotesi, di convertire a castagneto da frutto, non appare del tutto convincente se la scelta investisse vaste superfici, poiché vi è un lungo periodo transitorio privo di redditi, un tempo di ritorno dell’investimento pari alla lunghezza di vita dell’individuo, una riduzione della diversità del reddito passando dal ceduo in cui abbiamo una molteplicità di prodotti ad una coltura con una sola produzione.
   Tutte le strategie adottabili hanno una comune criticità: il coinvolgimento di due diverse realtà imprenditoriali quali: a) l’azienda forestale e b) l’impresa di utilizzazione e prima trasformazione, che hanno obbiettivi diametralmente opposti.

 

Meglio vendere il legno di castagno in Italia oppure all’estero?  (Romagnoli, Carbone)

Riuscire a collocare le produzioni su mercati esterni a quello locale, costituisce un interessante prospettiva, tuttavia vi sono diverse criticità. Anzitutto l’elevata frammentazione dell’offerta, l’assenza di comuni standard dimensionali e nomenclatura delle produzioni su scala nazionale ed internazionale, la certificazione delle caratteristiche fisico-meccaniche, la scarsa conoscenza della lavorabilità e delle prestazioni del legname da parte degli operatori non avvezzi alla lavorazione del legno di castagno.
Non va dimenticato infine che nei mercati del Nord, culturalmente, piace il legno dolce e chiaro (conifere).
Vi sono già delle aziende, quelle più significative che già da tempo hanno ampliato il loro mercato riuscendo ad affermare le loro produzioni.
Per le nuove imprese che intendono farlo, se agiscono singolarmente, l’impegno diviene estremamente pesante. Qualora si riuscisse a superare le criticità ed operare come settore adottando strategie di marketing, certamente la collocazione sul mercato nazionale ed in quello estero, potrebbero divenire prospettive interessanti.

 

 

A proposito del supporto pubblico all’economia del castagno

 

L’UE dà soldi a chi produce legno?    (Romagnoli, Carbone)

L’UE avvalendosi di Regolamenti in seno alla riforma della politica agricola comunitaria, agganciandosi altresì alle politiche ambientali, sociali, energetiche, etc., da vari decenni assicura finanziamenti al settore, sia alle aziende forestali che alle imprese di utilizzazione e prima trasformazione.
Rispetto al lontano passato, tuttavia, i soldi non sono distribuiti a “pioggia”. Essi sono resi disponibili attraverso bandi a cui i singoli interessati debbono presentare idee progettuali e documentazione idonea per poterli acquisire.
Attenzione. Generalmente si può attingere a quelle risorse in regime di cofinanziamento, laddove la parte richiesta all’interessato è, al contempo, una attestazione della bontà della proposta, della necessità al suo finanziamento ed indirettamente costituisce una leva per l’uso responsabile delle risorse pubbliche assunto che la quota di parte propria sia gestita in tal modo.
Oggi il problema maggiore è rappresentato dalla capacità di intercettare tali risorse finanziarie con una adeguata progettualità. Appare un assurdo, ma vi sono ancora significative risorse inutilizzate malgrado si è al termine del periodo programmatico.

 

Ci sono fondi regionali per fare o migliorare la selvicoltura?   (Rabagliati)

All’interno del PSR in fase di conclusione (programmazione 2007/2013) per la misura 121, misura a cui non è più possibile aderire, tra le diverse tipologie di intervento era previsto un contributo del 40% per la realizzazione di nuovi impianti di colture arboree ed arbustive poliennali permanenti, inclusi quelli finalizzati alla produzione di biomasse da impianti forestali a rapido accrescimento (Short Rotation Forestry), o adeguamento dei preesistenti (riconversioni, rinfittimenti, ecc.), attraverso interventi volti all’introduzione di nuove cultivar, di nuovi sistemi di allevamento e/o di raccolta nelle colture arboree, di adattamento dei sesti d’impianto, ecc.; aderendo alla misura era quindi possibile prevedere l’impianto di nuovi castagneti da frutto e/o da legno.
Le percentuali di contributo pubblico per la misura 121 sono variabili tra il 35% ed il 55 % a seconda delle caratteristiche dell’imprenditore e della zona in cui si sarebbe realizzato l’impianto.
È plausibile che un intervento similare sarà inserito anche nel prossimo PSR 2014/2020 che la Regione Lazio  Assessorato Agricoltura sta predisponendo e che dovrà essere sottoposto al vaglio della Commissione europea a Bruxelles.

 

Il GAL Castelli Romani e Monti Prenestini ha ancora fondi disponibili per la castanicoltura da legno?  (Grassi)

La risposta in proposito, fornita al dr. Grassi dalla dr.ssa Patrizia Di Fonzo del GAL a fine gennaio 2013, precisa che i finanziamenti inizialmente disponibili non sono stati sfruttati, perché nessuna domanda è stata presentata. I termini temporali di utilizzo sono scaduti e attualmente non ve ne è più disponibilità. In futuro forse torneranno disponibili tramite altri bandi.

 

 

A proposito dell’uso del castagno per fini energetici

 

Cosa significa pellet e cippato?     (Baldini)

Il pellet è un prodotto per energia ottenuto dalla pressatura della polvere di legno essiccata. Il cippato è un termine diffusosi per indicare le scaglie o chips che sono ottenuti dall’azione meccanica di macchine sminuzzatrici e su legno massiccio.

 

Pellet e cippato, quali differenze hanno in legno, calore e costo?    (Baldini)

Il pellet costa più del doppio (dai 160 ai 210 euro/t all’ingrosso) rispetto al cippato (30 a 85 euro/t), l’energia sviluppata dipende da molte variabili. Fondamentale è l’umidità del materiale che determina il rendimento energetico e questo parametro, soprattutto nel cippato, è un fattore difficilmente controllabile. Il pellet ha un potere calorifico maggiore rispetto al cippato anche considerando quest’ultimo ad un contenuto idrico del 30%.  10-15 metri steri alla rinfusa di cippato corrispondono a 2,1 t di pellet.

 

Lo sfollo dei cedui dà cippato?    (Baldini)

Sì, così come lo possono dare i residui degli interventi di utilizzazione siano essi intercalari o di fine turno. Il problema rilevante è di portare tutta questa massa legnosa dal letto di caduta all’imposto. Ciò richiederebbe l’adozione del sistema di esbosco della pianta intera piuttosto che del solo tronco, lasciando sul letto di lavorazione i residui per essere raccolti successivamente (sostenendo nuovi costi).

 

Perchè il castagno da meno pellet della robinia?    (Baldini)

Del castagno si usa la ramaglia in genere e le fruste, nella robinia si usa anche il fusto.

 

 

A proposito del giudizio di convenienza della castanicoltura da legno

 

I boschi una volta rendevano, ora no, perché?   (Carbone)

Nel corso degli anni il mercato si è fortemente modificato. Un tempo, il legno era la componente strutturale delle costruzioni e dopo l’avvento del cemento armato, lo è stata ancora soprattutto nei centri montani. Altresì il legno trovava largo impiego nell’agricoltura nel periodo in cui la CEE aveva un obiettivo di ridurre la propria dipendenza dall’estero. In entrambi i casi il legno di castagno trovava in questi usi i mercati principali di sbocco.
Oggi purtroppo non è così. Il legno ha molti surrogati che negli anni lo hanno soppiantato, per cui se i prezzi in termini correnti sono, nella migliore delle ipotesi, rimasti stabili, in termini reali sono diminuiti; di converso sono significativamente aumentati i costi di produzione (costo del lavoro, dei capitali e dell’energia), sono stati introdotti nuovi costi (sicurezza), senza registrare tuttavia un significativo aumento della produttività dei fattori. Tutto ciò ha concorso ad una perdita di interesse nella gestione qualitativa dei soprassuoli per la loro bassa redditività.
Oggi occorre guardare al castagno come un legname di pregio per mercati di nicchia in cui vi sono pochi concorrenti che assicurano le medesime performances fisico-meccaniche, ambientali, estetiche e di durata.
Valorizzare il suo profilo greening, e specificatamente per le produzioni dei Castelli Romani, le ridotte emissioni di carbonio per la sua allocazione in mercati tipo quelli di Roma, costituisce l’imperativo per questo il comparto locale.

 

Conviene ancora far castanicoltura da legno?   (Carbone)

Certamente non conviene far castanicoltura da legno in una logica di mera rendita di attività, ovvero limitandosi ad aspettare l’età minima per utilizzare il soprassuolo (approccio gestionale: pochi maledetti e subito!!!). Per coloro che intendono fare castanicoltura di qualità vi sono significativi margini. Tuttavia, è bene essere consapevoli che i buoni risultati (in particolare sul piano del mercato) non si ottengono applicando semplicemente un buon modulo colturale, ma occorre “sgomitare” per concorrere a creare le condizioni per la valorizzazione del prodotto.
Piuttosto che porsi il quesito in termini di convenienza, sarebbe opportuno parlare di integrazioni al reddito derivante dal legname.

 

 

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