Le relazioni

La selvicoltura del ceduo di castagno: il ruolo degli interventi intercalari e di fine turno per la valorizzazione della produzione.

 

Luigi Portoghesi

Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - DIBAF

Università degli Studi della Tuscia

 

L'idea di valorizzare l'uso del legno di provenienza forestale ai fini energetici in Italia risale alla seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso, quando l'esito del referendum sul nucleare e la crisi ambientale suscitarono un forte interesse per le fonti di energia alternative e rinnovabili. Studi effettuati in quegli anni evidenziarono le opportunità e i limiti insiti nell'uso della biomassa forestale a fini energetici, sia sul versante della produzione di materia prima sia su quello delle forme e modalità di sfruttamento dell'energia. Tra i vantaggi vi era e vi è ancora la possibilità di utilizzare la richiesta di biomassa a fini energetici per migliorare le condizioni di molti boschi, specie quelli rimasti in abbandono colturale per decenni; un obiettivo che oggi più di trenta anni fa richiede che il prelievo di legno avvenga attraverso una gestione multifunzionale e nel rispetto della realtà complessa degli ecosistemi forestali.

Il bosco ceduo, per le sue caratteristiche di semplicità di assestamento, elevata produzione di legname di ridotte dimensioni con turni relativamente brevi, prontezza della rinnovazione naturale è la forma di governo di elezione per la produzione di legno da destinare a uso energetico.

Tuttavia, nel caso del ceduo castanile, è evidente che la biomassa per uso energetico è un prodotto di molto minor valore rispetto agli altri assortimenti ricavabili. Essa può però contribuire a rendere economicamente fattibili i diradamenti, specie quelli precoci che oggi risultano troppo costosi e non vengono più effettuati. Diverse ricerche hanno dimostrato come diradamenti più frequenti e meno intensi di quelli ordinariamente realizzati oggi consentono non solo di ottenere a fine turno polloni di maggiore diametro medio, ma di ridurre significativamente l'incidenza della cipollatura. E' quindi possibile pensare - nelle stazioni adatte e in presenza della filiera interessata - di allungare i turni consueti anche fino a 30-50 anni nell'ottica di una diversificazione della durata dei cicli culturali anche all'interno di una stessa proprietà di ceduo castanile. Sembra questa la strada migliore per incrementare la qualità del legno prodotto e il reddito del proprietario. A tal fine è però indispensabile mettere a servizio dei tecnici e dei proprietari moderni strumenti di supporto alle decisioni da prendere nell'ambito della pianificazione forestale. La scelta del turno e del regime di diradamento per la singola particella è un processo poco strutturabile per l'elevato numero di fattori di cui tenere conto quali: caratteristiche stazionali (topografia, morfologia, geo-pedologia, clima e microclima), caratteri dendro-auxometrici e genetici dei popolamenti, diffusione di malattie e parassiti, qualità tecnologica del legno, mercato locale e nazionale, attitudini/preferenze del proprietario, vincoli normativi, preparazione professionale delle ditte utilizzatrici, estensione della viabilità forestale, ecc.

 

 

 

LA RACCOLTA, A BASSO IMPATTO, DELLE BIOMASSE FORESTALI

Sanzio Baldini

Unione Nazionale per la Innovazione Scientifica Forestale

F. Mazzocchi

 

 

Le utilizzazioni forestali devono essere intese come l’esecuzione dei lavori che fanno parte della gestione selvicolturale. Si devono fondare ed applicare sul criterio del rispetto dell’ambiente, nei suoi diversi aspetti, anteponendo le esigenze del bosco a quelle dell’uomo.

Gli impatti negativi che si vengono a creare, dopo che l’impresa utilizzatrice ha svolto il suo lavoro, non sono causati tanto dal taglio delle piante, se vengono seguite le disposizioni descritte nei piani di gestione redatti da professionisti che conoscono i boschi, la complessità dei loro ecosistemi e le loro finalità, ma dall’insieme delle fasi successive che si concretizzano con il concentramento ed esbosco del legname tagliato.

Da circa mezzo secolo, anche in Italia, i sistemi di utilizzazione boschiva sono andati progressivamente cambiando, non tanto come sistemi di lavoro ma come attrezzature usate e persone impiegate. La manodopera che veniva assunta dalle imprese o dall’Ente pubblico era locale e nella maggioranza dei casi si trasmetteva la professione da padre in figlio, consapevoli che se danneggiavano il bosco compromettevano per il futuro il pane per i loro figli.

La raccolta del legno era svolta con sapienza, a mano o con gli animali, che seguivano, durante l’esbosco, percorsi precisi. Lo spopolamento delle montagne, dagli anni 60, ha indotto le imprese a munirsi di macchine e di manodopera improvvisata, molta di questa di provenienza straniera, che nei Paesi di origine faceva lavori differenti e che non aveva mai preso in mano un’accetta o una motosega; persone con tanta buona volontà, ma che non avevano seguito corsi di educazione al lavoro per la prevenzione dagli infortuni e per rispettare loro stessi e l’ambiente di lavoro.

Si ritiene che la mancanza di formazione impedisca all’impresa ed al boscaiolo di passare da un sistema di lavoro ad un altro con facilità, sicurezza e scelta delle macchine più opportune, anche in funzione dell’ambiente dove essi devono operare. Sistemi di lavoro sbagliati e macchine non idonee provocano impatti negativi sull’ambiente che, sommati alla scarsa professionalità di guida in zone impervie, possono provocare gravi infortuni alle persone.

Dagli anni ‘70 negli altri Paesi dell’UE nel settore forestale e in questi ultimi in Italia, nel settore dell’ agricoltura, la formazione ha permesso a molti giovani di avvicinarsirispettivamente al bosco ed alla terra con minori disagi rispetto ai loro padri. Solo una seria educazione al lavoro, con alla base la ricerca e la sperimentazione, permetterà di poter gestire i boschi applicando metodologie di lavoro con macchine al servizio degli operatori, limitando al minimo gli impatti, senza trascurare l’aspetto economico per le imprese.

Si ritiene che quanto viene esposto dagli autori sia valido non solo per le zone a parco, come quella dei Castelli Romani, ma anche per una corretta gestione dei boschi appenninici, siano essi a castagno o a specie quercine. E’ una sintesi di studi e prove sperimentali, eseguiti tenendo sempre presente sia gli impatti negativi che si potevano creare al bosco ed a chi vi operava, sia la produttività dell’impresa.

 

 

 

Tipologie e produzione di biomasse nel Comprensorio dei Colli Albani per la gestione sostenibile delle micro-filiere

Nicola Colonna

Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA)

 

Le biomasse, per loro natura, sono intrinsecamente legate al territorio. Quando si valuta una nuova iniziativa nel settore delle bioenergie per  progettare  un impianto è necessario valutare la costruzione di  una filiera in grado di assicurare, con continuità, l'alimentazione ed al contempo garantire la sostenibilità economica ed ambientale della stessa.

Emerge,  dalle tante esperienze europee e nazionali, con sempre maggior evidenza che ogni filiera “biomasse – impianto – energia” è indissolubilmente legata al territorio, dove l'impianto non è altro che lo snodo tra la domanda di energia e l'offerta di biomasse. Le  attuali criticità sono soprattutto sul fronte dell'offerta, mente le tecnologie ampiamente mature ed una pianificazione sempre più attenta della domanda consentono di ovviare ad ogni problema di natura tecnologico gestionale.

La filiera ed il modello di relazioni fisiche, economiche e sociali lungo di essa devono essere costruiti come un vestito tagliato su misura. Questo modello può essere simile a  quello di altri luoghi, ma necessità sempre di un adattamento al territorio oggetto dell'intervento.

Nel territorio laziale i settori produttivi tradizionali - agricoltura, foreste ed agroindustria - offrono residui idonei alla valorizzazione energetica  in quantità  rilevanti,   il cui   principale limite all'impiego è la loro  mobilizzazione che deve essere  realizzata attraverso sistemi e modelli organizzativi  innovativi.

Un territorio  multiforme come quello collinare ed appenninico offre biomasse lignocellulosiche eterogenee che devono essere indagate in modo approfondito  nelle loro caratteristiche qualitative e quantitative per poter comprendere quale  sia il limite di impiego nelle attuali condizioni economiche e sociali.

I residui di potatura delle principali colture arboree (vite ed olivo) uniti ai residui forestali prodotti sia in bosco che negli impianti di trasformazione costituiscono una risorsa locale da valorizzare congiuntamente, tramite impianti asserviti alle comunità locali ed abbattendo il costo del kWh termico a favore dell'utenza finale.

Gli esempi, soprattutto nel nord Italia,  sono ormai numerosi ed è necessario porre l'attenzione su quei fattori che hanno costituito la base del  successo di molte iniziative imparando, ma soprattutto adattando ai nuovi contesti le esperienze acquisite.

E' necessario cominciare quindi dallo studiare in dettaglio l'offerta analizzando  il potenziale di biomasse che già oggi il territorio offre e sulla base di una programmazione che non può essere che pluriennale, valutare la reale possibilità di approvvigionare un impianto o più impianti.

Il modo migliore di leggere il potenziale di un territorio è sviluppare  sistemi GIS (sistemi informatizzati per la gestione dei dati geografici)che consentano di porre in relazione le biomasse potenziali con il territorio (orografia) e le strade, cosi come la domanda per ottimizzare l'intera filiera.

 

 

La convenienza alla realizzazione di micro-filiere energetiche a biomasse forestali

Francesco Carbone

Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - DIBAF

Università degli Studi della Tuscia

 

L’UE con la Direttiva sulle energie rinnovabili ha introdotto un obiettivo chiaro: entro il 2020 il 20% dei consumi energetici debbonbo essere ricoperti da fonti rinnovabili. Altresì per la green economy la riduzione delle emissioni climalteranti per la produzione di energia da fonti fossili è un imperativo imprescindibile, mentre il contributo delle biomasse forestali alla produzione di energia è una delle priorità per la nuova strategia forestale dell’Unione Europea. Quest’ultima, tuttavia, evidenzia la necessità che sia salvaguardata la catena del valore del legno, secondo cui questo va utilizzato nel seguente ordine di priorità: prodotti a base di legno; prolungamento del ciclo di vita; riutilizzo; riciclo, bionergia e smaltimento.

Laddove vi è un sistema forestale dai numeri significativi come quello del Comprensorio dei Castelli Romani, diviene moralmente opportuno, per le generazioni presenti e quelle future, verificare la fattibilità di realizzazione della filiera energetica alimentata da biomasse forestali, quale strumento per il conseguire uno sviluppo sostenibile locale e generale.

La sostenibilità si basa sulla coesistenza di tre pilastri, ambientale, sociale ed economico, ognuno dei quali deve poter registrare un miglioramento delle sue performance. A tal fine si procederà a verificare se la micro-filiera energetica

·         sia sostenibile con la capacità produttiva del sistema forestale locale;

·         sia conveniente sul piano economico-finanziario per gli eventuali utenti;

·         sia apportatrice di un miglioramento degli standard di qualità ambientale;

·         sia un’opportunità per il tessuto socio-economico locale;

·         sia un’opportunità per favorire l’imprenditorialità locale;

·         sia un valore aggiunto per il territorio.

Altresì si dovrà verificare che essa non sia:

·         lesiva della catena del valore e del sistema di lavorazione del legno di castagno locale;

·         apportatrice di disagi/disturbi per la collettività;

·         fonte di inquinamento.

 

 

 

Esperienza di campo nella gestione delle micro-filiere energetiche a biomasse

Luca Peccianti

Istruttore Tecnico LL.PP: e Ambiente

Comune di Casole D’Elsa (SI)

 

Sono trascorsi sette anni da quando nel Comune di Casole d’Elsa si è riusciti a creare una microfiliera energetica da biomasse forestali per teleriscaldamento. La sua realizzazione è stata resa possibile grazie ai fondi comunitari (PSR 2000-2006), nonché dalla collaborazione con ARSIA e AIEL.

 

I punti di forza che hanno consentito la realizzazione del progetto sono stati:

 

·         un vasto patrimonio boscato di circa 3.500 ettari che assicurava una filiera corta;

 

·         la disponibilità di una utenza pubblica che ha soddisfatto gran parte della domanda termica;

 

·         la possibilità di ridurre significativamente il costo a carico dell’Amministrazione comunale per il riscaldamento dell’edificio.

 

Il progetto ha richiesto l’individuazione di due locali chiusi, uno finalizzato ad ospitare la caldaia e l’altro il cippato. La caldaia installata ha una potenza di 0,5 M kW con un fabbisogno di cippato di circa 200 t/anno.

 

Con riferimento all’ultimo anno di utilizzazione del metano, in cui l’Amministrazione comunale ha sostenuto una spesa di 41.000 €, l’anno successivo il costo registrato è stato di 4.900 €.

 

Prospettive? Dalla nascita del progetto, questo si è significativamente evoluto ed ampliato:

 

a)      abbiamo collegato alla caldaia il nuovo edificio scolastico adibito a scuola media nelle immediate vicinanze;

 

b)      è stato predisposto circa il 70% della tubazione preisolata per il collegamento con il Municipio;

 

c)      è stato avviato un accordo con il Consorzio di Bonifica della Toscana Centrale per il recupero del legname proveniente dalla pulitura dei bacini fluviali al fine di cippare e utilizzare il prodotto nell’inverno 2014-2015.

 

 

Il Convegno visto dagli altri:

Riportiamo la relazione sul convegno pubblicata sul sito dell'Unione Nazionale per l'Innovazione Scientifica:

 

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