3.3 Le innovazioni nella gestione selvicolturale dei cedui castanili. Il contributo atteso dalla sperimentazione dell’area di Monte Cerasa

Luigi Portoghesi

 

 

Le innovazioni nella gestione selvicolturale dei cedui castanili. Il contributo atteso della sperimentazione dell'area di Monte Cerasa

Luigi Portoghesi - Dipartimento per l'Innovazione dei Sistemi Biologici, Agro-alimentari e Forestali. Università degli Studi della Tuscia

 

 

 

 

Grazie professore.

Sono Luigi Portoghesi e insegno Pianificazione Forestale all’Università della Tuscia. Svolgerò solo una prima parte dell’intervento in programma, poi lascerò la parola ai funzionari del Parco dei Castelli. Cercherò di essere brevissimo.

Permettetemi, innanzitutto, di dire due cose a commento di quello che ho sentito poco fa.

La prima è che non è accettabile che ci vogliano diciotto mesi per approvare un piano di assestamento forestale. In questo modo si toglie utilità e credibilità alla pianificazione forestale. E’ un vecchio problema, ne parlavamo già una ventina d’anni fa.

La seconda cosa riguarda l’uso del castagno per la produzione di biomassa da energia. Dire che questo deve essere l’obiettivo principale dell’assestamento di una compresa di ceduo castanile è, per usare una parola forte, una mezza bestemmia. Sappiamo bene che si può vendere il castagno per utilizzi molti migliori che non per bruciarlo. Si potrebbe ragionare su una maggiore diffusione di questo utilizzo se potesse indirettamente contribuire a migliorare la qualità dei fusti a fine turno rendendo più sostenibili i diradamenti dal punto di vista economico.

 

Le poche cose che dirò riguardano, soprattutto, l’importanza di differenziare i moduli colturali da adottare nei cedui di castagno; e anche questo è un problema che va avanti da diverso tempo. La ricerca, sia sugli aspetti tecnologici del legno di castagno, sia sugli aspetti selvicolturali della gestione del ceduo, ha raggiunto, alcuni risultati importanti per migliorare la qualità della produzione. Il problema, da diversi anni, è quello del trasferimento dell’innovazione nella pratica ordinaria.

Il punto di fondo è che le potenzialità produttive del castagno non sono ancora pienamente sfruttate perché c’è una certa riluttanza ad allungare i turni per raggiungere dimensioni medie dei fusti che consentirebbero di produrre una maggiore quantità di assortimenti di elevato valore.

 

La ricerca in tecnologia del legno e in selvicoltura ha ormai appurato che, attraverso i diradamenti, in un regime colturale opportunamente studiato, si può limitare l’incidenza dei difetti tecnologici, primo fra tutti quello della cipollatura. È fondamentale, però, che la crescita del castagno sia molto, molto graduale.

Oggi, troppo spesso, per motivi economici, succede esattamente il contrario: si fa un solo diradamento, di forte intensità, provocando un improvviso aumento della crescita dei polloni rilasciati e questo, insieme ai fattori genetici, climatici e pedologici aumenta il rischio che si formi la cipollatura.

 

È chiaro che l’allungamento del turno per la produzione di assortimenti diversi da quelli tradizionali, implica due precondizioni: che esista un mercato ed esista una filiera di trasformazione in grado di soddisfare la domanda.

Apprendo con molto favore il fatto che si torni, all’interno dei piani di assestamento, a fare ricerca applicata in auxometria e auxonomia, perché noi abbiamo bisogno di questi strumenti che ci aiutino a definire le potenzialità produttive a scala di popolamento.

In Francia, nazione da cui importiamo molto legno di castagno, si sono, da tempo, dotati di strumenti come questi che consentono di definire qual è la fertilità potenziale di ogni singola particella forestale cioè, quali sono le dimensioni che i polloni di castagno possono raggiungere e in quanto tempo.

 

Un altro strumento, forse ancora più utile, sono le mappe che indicano la produttività potenziale delle aree boschive in generale, e delle aree coperte da popolamenti di castagno, in particolare. In Italia, purtroppo questo tipo di cartografie sono pochissimo diffuse; ne esistono al contrario di altri paesi europei. Questi strumenti informativi sono costruiti semplicemente mettendo insieme le informazioni territoriali sui fattori ambientali (substrato geologico, clima, suolo) che concorrono a determinare la potenzialità produttiva di un’area forestale.

Con le informazioni cartografiche contenute negli strati informativi di cui disponiamo in diverse regioni a motivo delle tante azioni di monitoraggio ambientale, questi prodotti non sarebbero molto complessi da ottenere.

Rappresentazioni di questo tipo, a scala 1:10000, sarebbero strumenti molto utili per l’assestamento dei cedui di castagno perché aiuterebbero il tecnico a evidenziare che quella particella forestale - o quella porzione di particella forestale - ha una certa potenzialità produttiva, magari sensibilmente diversa da quella presente in altre parti della stessa compresa. Questa differenziazione spaziale aiuterebbe a adottare turni differenti, allungandoli solo dove esiste la possibilità di ottenere fusti di maggiori dimensioni. In realtà, spesso per la scelta dei turni abbiamo a disposizione solo tavole alsometriche che non differenziano la classe di fertilità.

La vecchia tavola alsometrica costruita per i cedui di castagno di Rocca di Papa è suddivisa in due classi di fertilità. Se sovrapponiamo in un diagramma le curve che esprimono l’andamento dell’altezza dominante in funzione dell’età delle due classi di fertilità alle curve francesi si può facilmente notare come le prime vadano a posizionarsi nella parte alta del grafico, in corrispondenza dei livelli di fertilità più alti esistenti in Francia. Questo confronto conferma che qui a Rocca di Papa c’è una fertilità potenziale elevata, che nulla ha da invidiare ai castagneti francesi.

I nuovi modelli auxonomici che sono stati prodotti insieme al nuovo piano di assestamento forestale del Comune di Rocca di Papa, evidenziano l’esistenza di ben quattro classi di fertilità riconoscendo, quindi, le differenze di potenzialità produttiva che ci sono tra una particella forestale e un’altra. Sono uno strumento essenziale per poter individuare le parti di bosco dove poter adottare turni più lunghi.

 

Concludo il mio intervento accennando al progetto del Monte Cerasa, di cui parleranno meglio i rappresentanti del Parco. Uno degli obiettivi primari del progetto è quello di sperimentare le innovazioni, cui prima ho accennato, su superfici più ampie di quelle finora utilizzate a fini di ricerca. Si sta cercando, insieme al Parco dei Castelli Romani e alla Regione Lazio, di creare alcune aree pilota di ceduo castanile con funzione dimostrativa che servano a realizzare turni differenziati e moduli colturali differenziati, su superfici più ampie dei mille metri quadrati su cui si svolgono inizialmente le prove sperimentali.

Il passo successivo sarà quello di sperimentare la differenziazione dei turni su un’intera proprietà forestale.

Grazie per l’attenzione.

 

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