Il Redentore o la Vergine?

(Bottega di Perino del Vaga, "Redentore", particolare, chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo, Rocca di Papa)

 

 

 

Siamo sempre stati abituati, noi Roccheggiani, a considerare scontata l’attribuzione del “Redentore” del nostro Duomo a Perin del Vaga. Rassicurati da studiosi illustri come Corrado Ricci e Giuseppe Tomassetti, abbiamo accettato senza problemi - e anzi con un certo orgoglio - la tesi secondo cui fu proprio Perino, allievo di Raffaello, a dipingere il trittico di cui il Redentore rappresenta la parte centrale. A rimettere tutto in discussione, ora, è la tesi di laurea magistrale di Alessia Ulisse intitolata “Due tavole cinquecentesche a Rocca di Papa: problemi storiografici e critici intorno alla bottega di Perino del Vaga”. Questa tesi in “Storia della Critica d’Arte”, nell’ambito del corso di laurea in Storia dell’Arte della “Macroarea di Lettere e Filosofia” (quanto è diventato complicato il mondo accademico!) è stata discussa a dicembre, ma spero che Alessia mi perdonerà se ne parlo soltanto adesso.  Innanzitutto credo di dovermi felicitare con l’Autrice per la qualità del suo elaborato. Avendo avuto occasione di vederla all’opera, credo di poter testimoniare sulla serietà della ricerca. Girare per archivi può essere entusiasmante, ma spesso è un’impresa estenuante in cui forse il minore dei problemi è l’interpretazione dei documenti. Prima bisogna superare tante di quelle barriere (burocratiche, logistiche e… fermiamoci qua) che è difficile venirne a capo se non si hanno una motivazione solida e una tempra d’acciaio. In questo caso, però, il risultato giustifica ampiamente la fatica.

Anche se le conclusioni cui giunge Alessia (vabbè, pardon, la dott.sa Ulisse) non sono categoriche, le argomentazioni a loro sostegno sono convincenti. Riassumendo molto, nella primitiva chiesa parrocchiale di Santa Maria degli Angeli, quella che fino al ‘700 sorgeva dove oggi c’è il Crocifisso, si conservavano due opere: un San Matteo (venduto nel 1749 e finito oggi a Copenaghen, riprodotto qui a lato) e il trittico del Redentore. Erano attribuiti entrambi a Perin del Vaga, ma il San Matteo, sulla base di confronti stilistici e di altre motivazioni troppo lunghe per essere riportate qui, sarebbe da attribuire piuttosto al migliore allievo di Perino: tale Girolamo Sciolante da Sermoneta. Ancor più stimolanti, a nostro avviso, sono le vicende del quadro che ci è rimasto. Sull’attribuzione alla bottega (quantomeno) di Perino non sembrano sussistere troppi dubbi. Ma che fine hanno fatto gli sportelli laterali che chiudevano il trittico e raffiguravano gli Evangelisti? Dopo accurate ricerche, Alessia è arrivata alla conclusione che il quadro registrato nei resoconti delle “visite pastorali” come una Madonna dipinta nel 1543 (quando sostituì una tavola precedente dell’ambiente di Antoniazzo Romano) è proprio quello che oggi conosciamo come il “Redentore” (riprodotto in fondo all'articolo). Gli sportelli furono alienati fra il 1761 e il 1780 per contribuire alla realizzazione della nuova chiesa dell’Assunta, ma il frate che fu incaricato di venderli scomparve con soldi e dipinti. Il Redentore, invece, non sarebbe altro che il vecchio quadro della Madonna sul quale, nel XVII secolo qualcuno pensò bene di operare una sorta di “miracolo” trasformando il volto della Vergine in quello di suo figlio. Se si guarda bene l’immagine del Redentore , infatti, si nota un particolare abbastanza stupefacente: il seno.

Prima morale: mai fidarsi delle apparenze. Anche le abitudini consolidate (e alle quali siamo affezionati) possono essere messe in dubbio. L’importante è che la discussione cui esse si sottopongono sia seria e onesta, scevra da pregiudizi e basata su un’analisi solida. La seconda morale, o meglio, la seconda soddisfacente considerazione, è che Il Duomo di Rocca di Papa si conferma ancora una volta uno scrigno di opere importantissime, sia per la loro qualità artistica sia per le loro vicende complesse. Ogni volta che si studia una di queste opere ci si imbatte fatalmente in personaggi di assoluto rilievo, degni di essere a loro volta studiati, in quel gioco interminabile di connessioni e rimandi che fanno la felicità di ogni appassionato di cose locali. Un plauso, dunque, alla dottoressa Alessia Ulisse e alle professoresse Barbara Agosti e Maria Beltramini dell’Università di Tor Vergata (relatrice e correlatrice della tesi). Con questo lavoro un altro tassello della nostra storia trova finalmente la sua collocazione, rendendo meno sfocato e sempre più affascinante il suo grande mosaico.