La strega-gatta ed altre streghe

(Quattro streghe di Albrecht Dürer)

 

Ecco ancora una storia di una strega - gatta. Storia molto particolare perché l'uomo in questione, un certo  Peppe, riesce ad acchiappare la gatta, addirittura a stringerle il collo. Non aggiungo altro: bisogna leggere il racconto narratomi in breve da  una signora novantenne di Rocca di Papa. 

Anche in questo caso, come per tutti gli altri racconti, ho rispettato totalmente lo svolgimento delle azioni  così come mi sono state raccontate- molto sinteticamente e rozzamente. Di mio ho cercato di creare la scena, di dare al tutto una sorta di visibilità e un ritmo tale da rendere la lettura accattivante. Non spetta a me dire se ci sono riuscita.

 

NONNO PEPPE E LA STREGA GATTA

Nonno Peppe aveva tre bei cavalli sani e forti. Ma una mattina

li trovò sudati e la mattina dopo uguale e il giorno appresso

lo stesso. Allora si disse: «Com’è che ‘sti cavalli me sudano così,

chi po’ entra’? La porta è chiusa, la finestrella cià le sbarre. Devo

resta’ nella stalla pe’ vede’».

Così una sera, dopo aver fienato i cavalli, si chiuse la porta

alle spalle e rimase dentro vicino alle bestie. Restò in piedi e continuamente

guardava la porta e la finestrella che aveva i ferri

come le prigioni. Ma ecco che proprio dalle sbarre della finestrella

sguscia giù una gatta nera e lui svelto l’acchiappa per il

collo e glielo stringe. La gatta si divincola, cerca di graffiarlo, di

sfuggirli, ma Peppe stringe forte.

«No, no mme strozza’», disse una voce di donna e nonno

Peppe si trovò tra le mani il collo di una donna e poi una donna

intera, in carne e ossa, gli fu davanti, accostata, con la pelle liscia

senza peli, solo i capelli erano arruffati e gli occhi spiritati

come quelli della gatta. Per la sorpresa nonno non allentò le

mani e la donna ripeté con voce rantolante: «No mme mmazzà...

non verrò più, non toccherò più i cavalli e te salvo per sette generazioni ».

Peppe allargò le mani e la donna gli scivolò dalle dita, si abbassò,

si fece piccola e fu di nuovo gatta e saltò sulla finestrella,

sparendo alla vista di Peppe.

Dall’indomani i cavalli non furono più sudati e Peppe, pur

sapendo che quella donna, che conosceva solo di vista, era strega,

non lo rivelò a nessuno.

 

 La storia che segue è  invece roccapriorese, originale nel suo genere. E' l' unica che ho trovato in cui non ci sono né gatti, né altri animali, ma la pietrificazione dell'essere umano visitato dalla strega di turno.  E non c' è neanche la solita salvezza per le sette generazioni tipica delle storie stregonesche dei Castelli.  La pietrificazione fa pensare piuttosto ad una osmosi con il mondo delle fiabe.

 

IL MARITO PIETRIFICATO

A Rocca Priora le streghe, fra i tanti poteri, avevano anche

quello di pietrificare le persone. Dovevano entrare nelle case

però, e qui tutti si ricordavano di appoggiare la scopa di saggina

dietro la porta a difesa de ‘a strea, che - si sa - doveva contare le

festuche della scopa e perdeva tempo.

Una sera, in una casa dove vivevano due coniugi, il marito si

dimenticò di mettere la scopa al posto giusto. Così durante la

notte entrò una strega, che, non trovando nessun impedimento, si

accostò al letto matrimoniale e pietrificò l’uomo.

La mattina dopo, grandi furono la sorpresa e il dolore della

moglie: il marito era disteso nel letto, rigido, duro come di peperino.

«Svegliati, muoviti!» gli gridava la moglie e intanto cercava

di spostare il marito, di spingerlo a rigirarsi, tentava di

muovergli le braccia e le gambe. Ma era di pietra.

Vedendo che tutti i suoi sforzi erano inutili, la moglie si mise

a piangere: grosse lacrime le scendevano sulle guance e cadevano

sul corpo dell’uomo. Bagnato dal liquido delle lacrime,

l’uomo cominciò a muoversi leggermente: le dita dei piedi si agitarono,

le palpebre tremarono, lentamente il calore della vita si

diffondeva di nuovo nel corpo pietrificato. Ma la moglie, con gli

occhi nella nebbia del pianto, non se ne accorgeva e continuò a

lamentarsi e a singhiozzare disperatamente. Le tante lacrime finirono

per sciogliere completamente ogni grumo di pietra e

l’uomo si alzò vispo e allegro dal letto.

 

 La prossima storia viene da Colle di Fuori ed è l' unica che non ho ascoltato dalla voce di un persona, ma ho letto in un volume della Regione Lazio  sul territorio di Rocca Priora dal titoloI beni culturali e ambientali : censimenti e catalogazioni ( nel mio  libro  ho scritto  tutti i riferimenti nella relativa nota) . Naturalmente anche qui- dove  riemergono come da un fiume sotterraneo  le famose sette generazioni- ho dato al racconto il ritmo e la visibilità  che mi sembravano necessari per armonizzarlo con tutti gli altri racconti. Il tono del racconto in chiave antropologica era troppo scarno, composto solo da notizie a livello scientifico.

 

IL MORSO AL DITO

Una notte, un uomo di Colle di Fuori entrò tranquillamente

nella stalla per dare da mangiare ai suoi muli, ma una scena inaspettata,

raccapricciante lo fermò sulla soglia con il cuore in gola:

accanto alle bestie, sulla paglia, era disteso un bambino in fasce

e vicino, in ginocchio, una donna - di sicuro una strega - lo stava

sfasciando per potergli succhiare il sangue.

La donna, sorpresa dall’ingresso dell’uomo, rimase immobile con il braccio alzato, nella mano la fascia del bambino. Per un momento gli occhi dell’uomo e della strega si incontrarono: nello stesso istante il pensiero dell’uomo andò alla formula magica

«Lascia la strega per tutti i venti», che la strega avrebbe certamente

pronunciato, sfuggendogli, se lui non l’avesse acciuffata

velocemente per i capelli, dicendo che erano crini. Allora si slanciò

verso la donna e glieli afferrò con forza.

Lei subito chiese: «Che hai acchiappato, capelli o crini?»

L’uomo di rimando rispose correttamente: «Crini!», ma poi,

volendo poter dimostrare ai paesani che quella donna era strega,

le afferrò la mano che teneva la fascia e, con un improvviso

morso, le staccò un dito. «Questa è la prova che mi servirà per

dire a tutti chi sei», disse con rabbia.

La donna capì che non poteva difendersi, se non promettendo

la salvezza per le consuete sette generazioni, a patto però che

l’uomo non raccontasse a nessuno quello che era successo.

L’uomo promise a sua volta e, mentre si chinava per prendere il

bambino tra le braccia, la donna strega si voltò e, con un sorriso

sulle labbra nonostante la mano sanguinante, uscì dalla stalla.

Il bambino l’indomani fu riportato alla madre, che già lo piangeva come morto.

 

 A questo punto penso che per l' Alveare le  malefiche streghe abbiano detto abbastanza,  per la prossima volta avremo  ancora storie  dell'immaginario popolare dei Castelli, ma di Anime Sante, che a differenza delle streghe, fanno del bene. Storie rasserenanti dunque, forse più adatte ai momenti difficili che viviamo.