La novella “Maria Botti” di Richard Voss

 

 

La figura di Richard Voss mi ha sempre incuriosito. Di lui, fino a poco tempo fa, sapevo soltanto che era uno scrittore tedesco e che visse per buona parte della sua vita a Frascati (a villa Falconieri, beato lui).  Ora so anche che nacque nel 1851 in una famiglia di agricoltori nella cittadina di Neugrape, in Germania (ma dal 1945 questa località vicino a Stettino è passata alla Polonia - nel Voivodato della Pomerania Occidentale - e si chiama Nowe Crapowo: “uva nuova”, proprio come in Tedesco). Nel 1870, a 19 anni, Richard fu mandato a combattere nella guerra franco-prussiana. Finito il conflitto, decise di studiare lettere e filosofia, prima a Jena e poi a Monaco. Appena terminati gli studi si trasferì in Italia dove, per ben 25 anni, visse a Frascati insieme alla moglie Melanie. In Germania tornava spesso per occuparsi della sua tenuta di Berchtesgaden in alta Baviera (ri-beato lui). Nel 1884 il granduca di Weimar (a quell’epoca l’impero germanico del Kaiser e di Bismarck era ancora pieno di duchi e granduchi) lo nominò bibliotecario del castello di Wartburg, in Turingia. Morì a Berchtesgaden nel 1918.

Sapevo anche che Voss aveva scritto diversi romanzi (piuttosto popolari ai suoi tempi) e un libro dedicato all’Italia (Du, mein Italien! Tu, Italia mia!). Quando riuscii a procurarmelo, però, ebbi un’amara sorpresa: era sì scritto in Tedesco - e questo bene o male me lo aspettavo – ma in caratteri gotici. Ora, con tutta la buona volontà, sono anche disposto a sciropparmi un volume in tedesco di quattrocento pagine, ma non in gotico! Solo per distinguere le lettere maiuscole una dall’altra mi ci vuole mediamente un quarto d’ora. L’unica traduzione che riuscii a trovare fu un libercolo mezzo squinternato pubblicato nel 1912 a Lanciano in cui venivano riportati brani scelti di diverse opere di Voss, fra cui appunto Du mein Italien!. La traduzione lasciava parecchio a desiderare, ma se non altro mi fece scoprire che Voss aveva ambientato una delle sue novelle a Rocca di Papa. Il titolo era “Maria Botti”

E qui si aprì un altro periodo di caccia. In rete, come dice chi se ne intende, ormai si trova di tutto. Così, quando vidi che una casa editrice inglese (o americana, boh) proponeva a quattro soldi ristampe anastatiche di libri rari e ormai introvabili, fra cui Maria Botti di Voss, feci immediatamente l’ordine. All’apertura del pacchetto ebbi una altra sorpresa, stavolta amarissima. La copertina era in bei caratteri latini, ma il testo era una specie di miniatura, in caratteri gotici più arzigogolati che mai. Basta, dopo le prime venti pagine decifrate a fatica (sembravano geroglifici) mi arresi. Avevo capito soltanto che Maria era una bella ragazza di Rocca di Papa, figlia di un’altra Maria (questa vedova) che affittava camere a Piazza dell’Erba ai pittori tedeschi del Grand Tour. La novella inizia proprio dal racconto di uno di costoro il quale a Nemi, seduto sulla terrazza della rinomata trattoria De Sanctis, rifiuta di accompagnare l’amico (il narratore) a Rocca di Papa. Troppi ricordi tristi, dice, legati alla tragica figura della giovane e bella Maria. Più della curiosità, a questo punto, poté il gotico. Sconfitto, rimandai la fine della storia a tempi migliori. Tempi che sono arrivati poche settimane fa, quando un amico mi ha prestato le fotocopie di una versione italiana di Maria Botti risalente ai primi anni del Novecento.  Ora, finalmente, so come va a finire. Ma non corriamo.  

La vicenda, dicevamo, si apre a Nemi, dove il narratore cerca di convincere il suo amico pittore Heinrich ad accompagnarlo a Rocca di Papa per una bella escursione. Heinrich dapprima nicchia, poi – complice forse il vinello – si lascia convincere a raccontare il motivo della sua riluttanza a seguirlo su alla Rocca. Era successo questo. Giovane e romantico, il nostro bel pittore germanico era arrivato a Rocca di Papa sull’esempio di tanti suoi conterranei che avevano preso spunto ed ispirazione dall’aspra bellezza del luogo (e delle sue abitanti). Solo che all’epoca dei fatti (prima metà dell’Ottocento, si direbbe) a Rocca non esistevano alberghi e bisognava adattarsi ad affittare una stanza in qualche casa privata. Heinrich, ancora stupito dalla grandiosità del Duomo in un paesello peraltro poverissimo, viene indirizzato a piazza dell’erba. Qui una vedova, Maria Botti senior, possiede una stanza al primo piano che usa affittare ai pittori forestieri. In quel momento, guarda caso, la stanza è libera. Intanto, sempre per puro caso, nella sua prima scarpinata a Monte Cavo il nostro giovane amico aveva conosciuto una creatura meravigliosa: una ragazza fiera e bellissima che era andata dai frati passionisti del convento per farsi dare i medicamenti con cui alleviare le sofferenze della mamma malata. Chi poteva mai essere l’angelica creatura? Maria Botti junior, naturalmente. Insomma, pittore e fanciulla si ritrovano fatalmente sotto lo stesso tetto. Solo che Maria, figlia unica e devota, è stata promessa in sposa a un ragazzotto del luogo, tale Luigi Gerli, che sarà pure un ottimo partito, ma è anche un perdigiorno, avvinazzato e geloso. Fatte queste premesse, il bello della novella sono le descrizioni dei luoghi e delle usanze di Rocca. Un paese stupendo, ma le cui casupole luride sono abitate da cattolici bigotti (il personaggio, come lo stesso Voss era protestante) e dal coltello facile. Non sono riuscito a capire quale sia la casa di Maria Botti. Qualche indizio potrebbe far pensare che si tratti della “casa delle rondini”, ma le indicazioni sono contraddittorie. Voss dice soltanto che è di fronte alla fontana e a una trattoria (o meglio una specie di sudicia bettola) chiamata “Trattoria Romana” e gestita dalla “sora Lisa”. La trattoria potrebbe essere sia il “cantinone” - che fra l’altro all’inizio del ‘900 recava l’insegna “Botti” - sia quella “del Lazio” che in alcune cartoline della stessa epoca si vede dove oggi c’è il bar, sull’altro lato della fontana.   Ma la stanza di Heinrich potrebbe essere anche proprio quella con le colonnine sopra al vecchio “cantinone”, chi lo sa?

Tornando alla storia, Heinrich vede che i colleghi che prima di lui hanno abitato la stanza in affitto hanno dipinto Maria sulle pareti, da quando era piccola in poi. Naturalmente decide anche lui di ritrarla e, manco a dirlo, finisce per innamorarsene follemente. Apriti cielo! Già il fatto che ella posi per lui (in veste di Lucrezia, l’eroina romana, suicida per rivendicare il proprio onore violato dall’orrido Sesto Tarquinio) scatena le comari di Rocca e la gelosia di Luigi, ma quando Heinrich, dopo tormentosi e tedeschissimi contorcimenti mentali, decide di dichiararsi – per inciso lo fa ai Campi d’Annibale avvicinando Maria che stende i panni sulle siepi (allora usava così) – il dado è tratto. Sul momento la ragazza non cede, ma poi finisce per dargli appuntamento, di lì a qualche tempo, alla “festa della Madonna” di Genzano. Inutile dire che leggere la descrizione di questa festa è un godimento puro. Ma andiamo avanti. Il nostro focoso pittore va a Genzano e incontra Maria che, a quanto pare, è ancora più cotta di lui. La fanciulla si apparta con l’amato nel parco di villa Sforza Cesarini, se lo mangia di baci e – per sfida alle consuetudini – se lo trascina sottobraccio per le vie affollate del paese, fin sotto alle finestre della comare genzanese.  A notte fonda lei torna a Rocca e lui, prudentemente, resta. Ma il distacco è un onere insopportabile e il giorno appresso Heinrich si fionda alla Rocca, accolto fin dal Belvedere da sguardi ostili e improperi terribili. Presentendo il peggio, si precipita a piazza dell’erba dove quasi lo linciano. I gendarmi riescono a sottrarlo alla folla e a trascinarlo in salvo nella cucina a pianterreno della sora Maria; ma lui si divincola, sale le scale di furia e si trova davanti Maria sua, uccisa a pugnalate dal perfido promesso (il quale si è già dato alla macchia con l’approvazione unanime della plebaglia locale). Insomma un drammone in piena regola. Ovvio che – tornando da dove avevamo cominciato – il vecchio pittore non abbia poi tanta voglia di rivedere i luoghi della tragedia e preghi soltanto l’amico narratore di cercare la tomba dimenticata della povera Maria Botti.

Insomma, che io sappia, “Maria Botti” di Richard Voss è l’unico romanzo (definiamolo pure così, anche se in effetti è una lunga novella) ambientato prevalentemente a Rocca di Papa, con personaggi ben delineati e con descrizioni dettagliate dei paesaggi e delle usanze locali. Certo, tutto visto con l’ottica di un Tedesco protestante (poco incline a considerare benevolmente i costumi e le scostumatezze mediterranee), ma comunque descritto con l’ammirazione - un po’ invidiosetta forse - del nordeuropeo attratto inesorabilmente da una terra e da una storia infinitamente più antiche ed affascinanti della sua amata “Vaterland”.

 

Carlo Guarinoni

Dicembre 2014