Le streghe-gatto

 

Nella Carnia le streghe (striis) possono scegliere una grande varietà metamorfica: lupi, orsi, cani, gatti, topi, rospi, formiche con preferenza per le bisce però, mentre le macàre - o masciàre - del Salento, che di notte escono nude o con i vestiti stracciati,  si trasformano abitualmente in serpenti.  A Rocca di Papa invece, e in tutti i Castelli, l'unico animale stregonesco è il gatto e non è detto che sia nero.  Per questo a Velletri la notte di San Giovanni, notte ritenuta propizia all'apparizione delle streghe, venivano chiuse le gattarole, piccole aperture quadrate che, fino agli anni '30, si trovavano in basso in  molte porte dei paesi per far entrare e uscire il gatto di casa.

 Spesso nei racconti dei Castelli in cui appare una strega - gatto l'animale  viene ferito dal  padrone di casa  o dal proprietario del cavallo,  se il fatto avviene in una stalla. In tal caso la ferita, inferta all'animale, il giorno dopo appare evidente  sul corpo dell'uomo o della donna che  non possono  più mentire sul loro ruolo notturno.  Così succede ad Ariccia, in un racconto particolarmente interessante perché è l'unico che ho trovato in cui il protagonista è un uomo  e non  una donna come al solito. Me l'ha raccontato una signora del centro anziani di Ariccia:

 

Un agricoltore di Ariccia, da più giorni, ogni mattina che entrava nel suo tinello- nelle cantine coabitavano anticamente in spazi diversi le botti del vino e gli animali- trovava la sua cavalla sudata. Si preoccupò, si ricordava di una certa diceria sulle streghe che  entravano nelle stalle e ne parlò al suo compare, chiedendo consiglio sul da farsi. Il compare non dette alcuna importanza all'accaduto: “ Lascia sta', lascia sta'...” gli disse.

L'agricoltore però, vedendo che la situazione della cavalla coninuava ad essere la stessa, anzi peggiorava di giorno in giorno, decise di restare nascosto nel tinello per vedere cosa succedeva.

Così una sera si nascose dietro una botte e aspettò. Ad una certa ora della notte ecco che dalla gattaròla entra un gatto. Con un balzo è sulla cavalla e subito dopo una voce umana risuona nel silenzio del tinello: “ Sotto l'acqua e sotto i venti, ai Beneventi! “.

Cavalla e gatto spariscono in un attimo sotto gli occhi stupiti e impauriti dell'uomo.

Ma l'Ariccino non si perde d'animo e, dopo un momento di smarrimento, cerca un falcetto ben affilato e si mette ad aspettare. Aspetta con  il manico del sorrecchio stretto nel pugno.

Aspetta, aspetta.

All'improvviso cavalla e gatto rientrano. L'uomo con il falcetto  alzato si slancia di furia verso la cavalla per tagliare la testa al gatto, ma il gatto scappa veloce e solo un orecchio dell'animale cade a terra.

L' indomani il nostro agricoltore incontra il compare con una vistosa fascia ad un orecchio. “Che sì fatto a' a recchia?” gli chiede premuroso.

E il compare: “ M'o dici  proprio tu che m'o sì taiato! ( Me lo dici proprio tu che me l'hai tagliato ).

 

Alla fine di questa storia  viene spontaneo sorridere pensando alla sorpresa  e alla delusione del padrone della cavalla che però non vengono riferite. Impossibile fare altrettanto però, leggendo  questo racconto di Rocca di Papa che è il più  crudele, il più raccapricciante  fra  tutti quelli  raccolti:

 

Una donna era rimasta irretita nella congrega delle streghe. Una  sera la capostrega la mandò a chiamare e così le disse: “ Devi andare a storpiare tuo nipote, quello che abita nel vicolo  vicino alla chiesa...”

“ Ma figlia mia, non mi mandare, mandami da un altro, da mio nipote no...”

La donna si affannò a pregare, a supplicare. Inutilmente: la capostrega fu irremovibile.

Così la stessa notte la donna si introdusse nella casa del figlio e  toccò il nipote, il più piccolo di sette figli, sulla bracca e sulle gambe. Intanto sottovoce diceva: “ Nipote mio, proprio mi rincresce di storpiarti. Ma io so' comandata, se non lo faccio, quella m'ammazza, nipote mio bello...”

L' indomani il bambino aveva le braccia e le gambe rattrappite. Il padre subito si preoccupò. “ Come mai questo bambino non si alza dal letto e sta così malamente? Dio mio cosa sarà successo? E non sapeva darsi pace.

Durante il giorno, avendo incontrato la madre, la mise a parte delle sue preoccupazioni: “Mio figlio, il più piccolo, sta male, non si alza dal letto”.

E lei: “ Eh!, non lo so perché, non so cosa ha fatto tuo figlio.”

Prima di sera, però, una voce giunse alle orecchie dell’uomo:

«Guarda che è tua madre che ti rovina il figlio».

Sentire queste parole e decidere l’appostamento notturno fu

tutt’uno. Perciò, quando i familiari si furono coricati, l’uomo si

acquattò sotto il letto del figlio, la ronca stretta in pugno e aspettò.

Ma quella notte la strega non venne.

La notte successiva, invece, mentre stava ben nascosto sotto il

letto del figlio, udì un leggero tramestìo e poi una voce mielata: «Figlio

mio, proprio mi rincresce di storpiarti, mi sei nipote, figlio mio bello!». Allora l’uomo balzò in piedi e con la ronca vibrò un colpo

al braccio che si allungava verso il corpo del bambino. Un urlo strozzato uscì dal petto della donna, che tuttavia riuscì a fuggire.

La mattina seguente un parente andò ad avvertire l’uomo:

«Tua madre ha un braccio tagliato…»

«Mamma? Come è possibile? E chi gliel’ha tagliato?», fece finta di non sapere nulla, ma dentro di sé ribolliva di rabbia, di odio. Corse subito dalla madre e la trovò che si lamentava: «Ah, come mi sento male, come mi sento male…»

«E che hai fatto, ma’?»

«E che ne so, stanotte mi hanno tagliato un braccio…»

«Allora sei proprio tu, che ti possano ammazzare, che straziavi mio figlio» gridò l’uomo e quasi finì la madre con una gragnuola di legnate.

Racconti che potrei definire di riconoscimento dei poteri malefici di una persona al di sopra di ogni  sospetto se ne raccontavano molti in tutt’Italia. Uno molto simile al precedente è piemontese ( l'ho trovato in una rivista scolastica, infatti è  stato raccolto dagli alunni della quinta A della scuola elementare di Genola in provincia di Cuneo nel 1991).

In questa storia è una masca che riveste il ruolo della strega. Di fatto le masche piemontesi sono vere streghe, anche loro entrano nelle case, trasformandosi in piccoli animali per uccidere i bambini, specialmente i neonati. Così sta per avvenire in questo pauroso racconto di Genola, in cui la masca di turno è la suocera che vive in una casa in cui sono già morti due bambini appena nati.

Nasce un terzo figlio: i genitori, preoccupati, decidono

di non perderlo di vista un solo istante e di montare

la guardia a turno notte e giorno, armati di un

coltello.

Durante una notte, mentre il padre è vicino alla

culla, entra silenziosamente un gatto. L’uomo, pronto,

gli tira subito il coltello e una zampa del gatto resta

sul pavimento. Arriva la mattina, ma la suocera, che

abitualmente veniva a salutare, non si fa vedere.

Quando il genero va in camera sua, la trova con un

braccio tagliato, così comprende che è una masca.

Anche in questo caso la donna si giustifica dicendo

che è il diavolo che la comanda e lei non può rifiutarsi.

Altra storia dello stesso genere ha per protagonista

una sùrbile, la donna vampiro dei racconti popolari

sardi, che, di notte, trasformandosi in una specie

di insetto che facilmente entra dai buchi delle serrature,

succhia il sangue dei neonati. Anche qui una

madre che ha visto morire altri figli, sta a guardia dell’ultimo

nato e tira un coltello al gatto nero che vede

entrare. Due dita umane insanguinate restano sul pavimento.

Dopo qualche giorno la donna scopre, con raccapriccio,

che sua madre ha due dita tagliate.

In questo racconto la donna anziana non si giustifica,

confessa con freddezza di aver ucciso gli altri bambini,

ma ringrazia la figlia perché, ferendola e facendole

perdere sangue, l’ha liberata dalla servitù al

demonio. «Mi ch’as bogao de pena», dice.

Voglio far notare che, nella tradizione, anche la

sùrbileè costretta a contare: infatti conta i denti di una

falce dentata - la falce è ricordata anche da Grazia Deledda

 che, per difesa, è stata appoggiata per terra

vicino alla culla, ma non sa andare oltre il fatidico numero

sette, perciò torna indietro e ricomincia ogni

volta daccapo finché arriva la luce dell’alba

Troveremo la perdita di una goccia di sangue nei racconti di lupi mannari, ma anche in uno velletrano, breve ma stranamente oscuro.

 Al prossimo incontro stregonesco,

                                                     

Maria Pia Santangeli

 

p.s. Non  ho scritto le  note  per non appesantire il racconto. Chi desidera avere qualche spiegazione in più, può leggerle nel  mio libro “Streghe, spiriti e folletti” – L' immaginario popolare nei Castelli Romani e non solo. Edizione Edilet ( Edilazio letteraria). Si trova nelle le Biblioteche dei Castelli e di Roma