"Il tempo dell’amore"

 

 

(Maria Pia)

 

Con la giovinezza si cominciava a pensare all’amore e contemporaneamente al matrimonio, che quasi per tutti erano sinonimi.

A Rocca non pare vi siano mai stati né paraninfi né ruffiane; giovanotti e ragazze erano relativamente liberi d’incontrarsi e di parlarsi - ma sempre in presenza di altre persone -  e decidevano spontaneamente del proprio avvenire.

Solo, a volte, si metteva di mezzo qualche parente o un amico per métte denànzi (mettere in evidenza, far notare) una persona: <<Te piaciarìa chélla?...>>, <<Te piaciarìa chillu?...>> (Ti piacerebbe quella?... o quello?...) e faceva un po’ da tramite fra gli interessati e le loro famiglie.

Le giovani, se pur in gruppo, andavano in campagna e nei boschi, più volte al giorno, ad attingere acqua alle varie fontane del paese. Se volevano avere maggiori opportunità di guardare qualcuno e di farsi a propria volta remmiràne (guardare a lungo), non facevano che andare a casa, buttare l’acqua e tornare indietro. Per le sorelle e i fratelli più piccoli tale manovra era una chiara dimostrazione d’innamoramento o per lo meno di civetteria e la malcapitata era cojonàta (schernita)  a dovere.

Se poi alla fontana si facevano aiutare da un uomo a issare la conca sulla corója (il cercine), ben sistemata sulla testa - si diceva: <<Che me ‘mpóni?>>, <<Che me iùti a ‘mpóne?>> - e lo guardavano con occhi eloquenti, è impossibile saperlo.

La sera, dopo il suono dell’avemmaria, quasi tute le donne lasciavano le loro faccende per recarsi in chiesa alla recita del rosario. Poi le più giovani, se i genitori lo permettevano, andavano a spasso in piazza dell’erbe, sciamavano per l’attuale via Gramsci e percorrevano una parte di via del Tufo.

L’illuminazione elettrica terminava poco dopo il Belvedere con una lampada più grande delle altre, denominata ‘a palla simpatica. Più avanti la strada era buia. L’oscurità che vi regnava non deponeva a favore della moralità delle ragazze che in quel tratto di strada s’inoltravano. Le malelingue avevano di che spettegolare: <<A’ vistu chélla…, la fìa de…, à trapassatu ‘a palla simpatica…!>> (hai visto quella…, la figlia di…, ha oltrepassato la palla simpatica!). <<M’àu dettu che t’àu vistu de trapassà ‘a palla simpatica!>>.

Ma a ‘n’or de notte tutte le donne erano a casa.

A favorire gli incontri fra i giovani non mancavano, inoltre, le consuete occasioni sociali: i matrimoni, i funerali, i pellegrinaggi a piedi alla Madonna del Divino Amore e al Crocifisso di Nemi, i balli di carnevale, quelli della svinatura nelle cantine e quelli improvvisati, d’estate, nei vari larghetti delle strade, se si trovava un volenteroso suonatore. (Si è sicuramente ballato nella piccola piazzetta di via della Cava intorno al 1920. <<…Cipriano suonéa l’organetto…>>).

Le suore dei due istituti sopra ricordati organizzavano spesso rappresentazioni teatrali, “La Passione”, “Santa Tecla”, “San Tarcisio”, “Gli esiliati in Siberia”, “Giovanna d’Arco”, “Genoveffa di Brabante”, “La vestale”, in cui recitavano solo le ragazze anche i ruoli maschili, con tanto di lunghe barbe e baffi finti. La popolazione vi accorreva in massa e tornava a casa rasserenata, con gli occhi rossi per il gran piangere e il fazzoletto ancora stretto nel pugno.

Il sabato e le domeniche a famiglie intere, avendo qualche soldo, si andava al cinema, a godersi il nuovo marchingegno straordinario che suscitava violente emozioni, con i treni che sembravano slanciarsi sugli spettatori, le storie a forti tinte, i gesti enfatici e le musiche dell’organetto, e poi del pianoforte, che commentavano l’azione.

La strada restava comunque per i giovani il luogo più comune d’incontro e perciò per la strada avvenivano di solito le dichiarazioni d’amore o meglio le richieste di fidanzamento.

Spesso il giovanotto poteva semplicemente domandare, però certamente dopo aver molto remmiràtu e fatto intuire con vari atteggiamenti l’interesse provato: <<Che te vuó métte a fa’ amore co’ mì?>> (Ti vuoi mettere a fare l’amore con me?); oppure se la timidezza lo attanagliava ed era nell’assoluta incapacità di trovare le parole adeguate ai propri sentimenti: <<Me vuó? Se me vuó vengo a càseta>> (Mi vuoi? Se mi vuoi vengo a casa tua a parlare con i genitori).