"Ricordi di viaggio di Charles Edmond Rouleau, soldato di Pio IX"

(Il Franco-canadese Charles Edmond Rouleau, del reggimento degli Zuavi Pontifici, a Roma nel maggio 1868. Rouleau porta il berretto di pelliccia guarnito da una piuma bianca. Questo copricapo era indossato con l’alta uniforme. Nelle occasioni normali gli zuavi portavano il kepì grigio con una banda rossa. Tornato in patria, Rouleau divenne uno dei principali organizzatori degli zuavi nel Canada francese.)

 

 

Quello che segue è un altro brano scritto da un ex zuavo pontificio e parla anch’esso della famosa visita di Pio IX ai campi d’Annibale del 10 agosto 1868. Stavolta a raccontarci le sue impressioni non è un giovanissimo volontario francese, ma un canadese. Egli partì dal Québec nel febbraio 1868 per difendere il Papato dai Garibaldini e, dopo il 870, tornò in patria, dove fondò il corpo degli Zuavi Pontifici Canadesi: un’associazione rimasta attiva fino alla seconda metà del secolo scorso.

 

Ricordi di viaggio

SOLDATO DI PIO IX

Di Charles Edmond Rouleau

Già sottufficiale degli Zuavi Pontifici

AMA DIO E IL TUO CAMMINO

Prezzo 75 centesimi rilegato

50 Centesimi in brossura

QUEBEC

Presso la stamperia di L. J. Demers & Frères

Editori del “Canadien”

1881

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CAPITOLO VII

CAMPO D’ANNIBANE – VISITA DI PIO IX

Il 28 luglio, ricevemmo l’ordine di evacuare Velletri e di trasferirci a Roma. Non saprei esprimervi tutta la mia felicità; perché avevo la gioia di visitare i monumenti sacri e profani della città dei Papi. Ma fu una vana illusione! Avevamo appena stabilito i nostri quartieri a Termini, cioè alle famose terme di Diocleziano a Roma, che la tromba suona “zaino in spalla”. Partiamo per Rocca di Papa o Campo d’Annibale, seguendo la strada di Grottaferrata. La distanza che abbiamo da percorrere è di circa ventiquattro miglia. E’ piuttosto lunga per dei giovani soldati che non hanno ancora fatto alcuna esperienza di marce forzate. Nondimeno, siamo decisi a morire piuttosto che rimanere in cammino. Non vogliamo che dei Canadesi si dica che sono dei “carotari”. Marciamo dunque con coraggio fino alla prima tappa, facendo il coro alle canzoni di “senza fiammiferi”, soprannome dato a uno dei nostri compagni perché non aveva mai da accendere – che aveva un repertorio inesauribile di ritornelli adatti al passo militare.

Arrivati a Grottaferrata, cittadina situata a diciotto miglia circa da Roma, facciamo una sosta di tre ore per consumare “minestra e caffè” e, una volta rifocillati, ci rimettiamo in marcia. Non ci restano che due leghe da percorrere, ma quella che seguiamo è la vera “via dolorosa”. Saliamo, saliamo e saliamo sempre. Si direbbe che siamo in cammino per il cielo. Infine, dopo diciotto ore di marcia, calpestiamo il suolo dove Annibale venne a piazzare il suo campo qualche giorno prima della battaglia del lago Trasimeno, quella dove i Romani, comandati da Caio Flaminio, furono fatti a pezzi nell’anno 217 avanti Cristo. E’ perciò che questo posto è generalmente conosciuto col nome di Campo d’Annibale. L’illustre condottiero africano aveva certamente studiato la topografia dell’Italia, perché non c’è luogo più adatto per l’accampamento di un grande esercito.

Dopo aver deposto per terra gli zaini e aver “formato i fasci” drizziamo le tende con cura perché qui durante il giorno proviamo un caldo soffocante, mentre la notte si fa sentire un freddo pungente. E’ difficile farsi un’idea delle sofferenze che abbiamo sopportato mente eravamo accampati vicino a Rocca di papa.

Dormivamo sul duro, solo un po’ di felci ci separavano dalla terra umida e dormivamo tutti vestiti. Alle quattro e mezza del mattino eravamo in piedi a fare le manovre di battaglione che duravano fino alle otto o alle nove. A mezzogiorno, “appello di pulizia” con lo zaino in spalla, di fronte alla bandiera. Appello di pulizia! In mezzo a una povere che ti acceca e ti ricopre dalla testa ai piedi. Una vera presa in giro! Ma è il mestiere del soldato. Comunque ogni volta evitavamo le punizioni perché eravamo abbastanza prudenti da lucidarci le scarpe coi fazzoletti, mentre formavamo i ranghi.

Nel pomeriggio ci sarebbe piaciuto andare a fare una passeggiatina sotto gli alberi dietro al nostro campo, per dare un po’ di riposo ai nostri corpi tutti anchilosati per lo sforzo che è costretto a fare per dormire sotto la tenda: ma ecco una corvée che ci aspetta. I signori sergenti vogliono innalzare una tenda superba e, per questo, gli servono delle felci: “Presto! Gridano, sei uomini di corvée! Andate al monte che vedete laggiù e portateci quello che vi chiediamo!” Povero soldato! Cammina! La cella di rigore ti aspetta, se non ubbidisci. Durante i trentasei giorni che abbiamo passato al Campo d’Annibale la nostra occupazione è stata sempre questa. Quando i sergenti ebbero terminato la loro abitazione principesca, il sergente maggiore, il sig. Cormier, volle alloggiare pure lui come un signorino.  Il comandante, il capitano, il tenente e il sottotenente si unirono al gruppo, di modo che le corvées non smisero di piovere.  Non avevamo un minuto di riposo. Confesso, in tutta sincerità, allora trovai la vita al campo talmente dura che se la causa che difendevo non fosse stata così santa, avrei rinunciato sul posto alla carriera militare. Ma l’amore della religione mi tratteneva e mi sembrava di sentire una voce che gridava dal cielo: “Forza, figli miei, il vostro attaccamento salverà la Chiesa!”

Malgrado le rudi incombenze, sembravamo sempre allegri e felici. Felici, perché ci era dato si soffrire un po’ come il nostro Salvatore divino. Allegri, perché sapevamo che le fatiche sopportate ogni giorno ci sarebbero state di grande aiuto quando avremmo dovuto combattere i nemici del Papato. Grazie a questa vita rude e attiva, i corpi si rompevano al dolore e né la fame né la sete, né il freddo né il caldo potranno più fermarci nel mezzo delle battaglie.

Ecco come sopportavamo le nostre pene, in seguito, non abbiamo dovuto pentirci del rigore dell’istruzione militare che avevano ricevuto al campo.

Il 10 agosto fu per noi un giorno di festa che non scorderò mai. Succede, qualche volta, che un giovane, lasciato a sé stesso, cada poco a poco in una cupa malinconia, dovuta tanto a un rovescio di fortuna che alla perdita di una persona cara. Se, in questa condizione, incontra un amico che gli vuole bene, questa tristezza si dissolverà ben presto grazie al fuoco dei consigli e delle parole di conforto che questa persona caritatevole gli regalerà. Per noi fu questo l’effetto della visita al Campo d’Annibale dell’immortale Pio IX. Eravamo per la maggior parte in uno stato di completo abbrutimento. Solo a intervalli provavamo quei sentimenti teneri e affettuosi che si avvertono nel focolare paterno. Lo scoraggiamento s’era impadronito dei nostri cuori. La nostra intelligenza di velava di spesse nubi e il nostro spirito agiva in una sfera piuttosto ristretta. Senza accorgercene, avevamo subito una metamorfosi. Poteva essere altrimenti, quando i nostri sguardi non incontravano che teli da tenda, carabine e giberne? Era, dunque, ora di andare ad attingere alla fonte di tutte le consolazioni; è quello che facemmo assistendo alla Messa, cantata da Sua Santità stessa, in mezzo al nostro campo.

Che cerimonia! Che pompa! Immaginate ottomila uomini in armi, inquadrati in ordine di battaglia, la testa alta e fiera, l’occhio vivo e penetrante, mantenere un silenzio solenne, tutti rivolti verso un altare magnifico preparato per la circostanza. L’altare è ad oriente. Guardate apparire alla sinistra di questi coraggiosi combattenti, in direzione di Rocca di Papa, l’augusto Pio IX, il Vicario di Gesù Cristo, scortato da tre cardinali, da un gran numero di prelati, dalla guardia nobile, da un numeroso picchetto di zuavi, dallo stato maggiore del reggimento e da parecchi principi che vedono come un favore insigne il privilegio di accompagnare il Vescovo di Roma.  Come il Papa comincia a salire i Monti Algidi una poderosa scarica di artiglieria saluta il padre comune dei fedeli; la banda musicale degli zuavi e quella dei cacciatori indigeni fanno sentire i loro accordi armoniosi e non smettono di suonare finché il Santo Padre non è arrivato alla cappella militare. Mentre attraversa i ranghi dei suoi numerosi figli e li benedice affettuosamente, questi si tengono in ginocchio, nell’atteggiamento di chi ha commesso uno sbaglio,ma ne riconosce l’enormità e chiede perdono con la piena fiducia di essere esaudito. Appena il Papa ebbe messo piede a terra, si rivestì dei suoi ornamenti pontificali e cominciò il sacrificio divino. Che maestà nella sua persona! Che santità brilla sul suo volto augusto! Che tenero affetto nel suo sguardo! Non è più un semplice mortale, ma un angelo in forma umana. Rimasi per tutto a la cerimonia con gli occhi fissi su Pio IX e questa vista mi riempì il cuore di un fascino indefinibile.Dopo la Messa, il Santo Padre andò su un palco costruito dalla “compagnia del genio” e, compiuta la sua azione di grazia, salì su un magnifico trono che si trovava in mezzo al palco. L’ora solenne era arrivata. Pio IX aveva appena pregato per i suoi cari zuavi, ma non era abbastanza: doveva spandere su di loro le benedizioni celesti. Lo sentimmo recitare con una voce forte e vibrante il “Benedicat vos Ombnipotens Deus, etc.” Quanto ci ha fatto bene questa benedizione impartita dal nostro Papa Re! Rialzando le nostre fronti curve nella polvere eravamo completamente cambiati; eravamo ridiventati i veri figli di Lamoriciére [generale francese fondatore degli zuavi pontifici, ndt].

Erano le due del pomeriggio. Il papa salì sulla sua ricca carrozza, visitò il campo passandogli davanti, prese un po’ di cibo e si diresse infine verso Roma. La festa è finita. Posso ben ripetere, a questo punto, lee parole della Sacra Scrittura: “Pleni die”. Sì, per noi era stata davvero una giornata piena: piena di benedizioni e piena di consolazione.

 

CAPITOLO IX

Festa al campo – Rocca di Papa – Partenza – Dispersione dei Canadesi

(…) 

Io approfittai di queste ore di riposo per studiare Rocca di Papa e i suoi dintorni.

Rocca di Papa è situata a sud est e a circa diciotto miglia da Roma. Questa città è costruita sul fianco di un costone roccioso: è da lì che le viene il nome di Rocca, che vuol dire roccia, Rocca di Papa significa dunque Roccia del Papa. Essa si eleva diverse migliaia di piedi sul livello del mare e presenta, grazie a questa altezza un panorama notevole. Saliti sulla sommità della rocca, vediamo in lontananza Roma e il Mediterraneo e, a breve distanza, Marino, Castel Gandolfo, Albano e il flutti argentei dei laghi di Albano e di Nemi.

A sud est di Rocca si eleva cavallerescamente il Monte Cavo (3.130 piedi di altitudine), sul quale i Passionisti hanno costruito il loro nido. Questo è un magnifico monastero circondato da tutti i lati da un boschetto ridente.  Non si potrebbe trovare un luogo più adatto per il raccoglimento e per la preghiera. Separati dal tumulto del mondo, questi religiosi sembrano staccarsi da terra e involarsi verso le regioni celesti quando ripetono, nelle loro lodi al Creatore, queste parole del Salmista: “Chi mi darà le ali come alla colomba?” Questo pio santuario è fondato sulle rovine si un tempio pagano, di Jupiter Latialis. Nel giardino accanto al convento si vede ancora un pezzo di pavimento in mosaico, perfettamente conservato. Quando sono andato a passeggiare in questo giardino delizioso ho staccato dal pavimento una piccola tessera che ho fatto scivolare furtivamente nel miotaschino. Avevo molta paura che questo furto sacrilego mi attirasse la collera degli dei e che Giove mi scagliasse la sua folgore sulla nuca. Sia come sia, sono tornato sano e salvo.

A sud di Rocca di Papa si incontra il luogo conosciuto generalmente col nome di Campo d’Annibale. È un vasto pianoro circondato da tutte le parti da alti monti. Gli zuavi sono accampati su questo pianoro. Il campo, addossato ai piedi di Monte Cavo, si stende su una linea diritta (da nord a sud) da Rocca fino al monte che fronteggia questa città.  Quest’ultimo monte è molto alto; dalla sua cima sembra che si goda di un panorama superbo. Alcuni dei miei compagni d’armi hanno avuto il coraggio di fare la scalata e hanno affermato che, quando il cielo è sereno, si distingue il Vesuvio e il golfo di Napoli. Ma… Johannes dubitat.

Nella chiesa principale di Rocca di Papa, sotto l’altare maggiore, riposa il corpo di sant’Eutropio, lettore della chiesa di Costantinopoli e morto martire nell’anno 404 proclamando pubblicamente la verità divina e prendendo le difese di san Giovanni Crisostomo, cacciato per la seconda volta dalla sua sede patriarcale.