"Il lavoro dei bambini"

 

(Maria Pia)

 

Bambini e ragazzi naturalmente giocavano; e per la strada perché le case erano piccole e le cucine, dai grandi camini, ingombre di utensili domestici e di sacchi di provviste, legumi, patate, farina di granturco… Ma nell’infanzia cominciavano anche a lavorare per guadagnarsi in parte il pane che mangiavano.

Se i padri erano artigiani, i figli quasi spontaneamente entravano in bottega, acquistando familiarità con gli attrezzi e i materiali e apprendendo in età scolare i primi rudimenti del mestiere. Se la famiglia viveva del lavoro dei campi, andavano nelle vigne, volentieri, perché si sentivano, se pur inconsapevolmente, uniti ai familiari, nella generale lotta per la sopravvivenza. (<<…Lasciammo ‘e cartelle a casa e jammo curenno a ‘la vigna…>>).

In campagna lavori non troppo faticosi che potevano eseguire anche i bambini, sia maschi che femmine, ce n’erano molti.

In inverno raccoglievano i sarmenti – erano utili per accendere il fuoco; non si sprecava niente – e via via, seguendo i mutamenti delle stagioni, mettevano a dimora i fagioli, spesso con un po’ di cenere, o altre sementi in buchette preventivamente aperte dai genitori; zappettavano, strappavano erbacce; ascoltavano e imparavano norme generali e accorgimenti; tra l’altro che la terra non si lavora se è calla-fredda, cioè rinfrescata da una pioggia superficiale, né quando col gelo si formano nel terreno ‘e zanne d’e vecchie, specie di ghiaccioli.

(<<…Da bambina papà me ‘mparava pure la qualità dell’uva. Mi diceva: “Vedi questa è bomminu, questa è bbellu, è uva nera, questa è cacchione…” Me ‘mparava tutte le cose…>>).

Al momento opportuno aiutavano a cogliere ortaggi, frutta, fagioli. Il giorno che si cavavano le patate, c’era da ripulirle della terra e metterle nei sacchi e quando il granturco era maturo, bambini e ragazzi partecipavano a stotàrane (la scartocciatura e la sgranatura), quasi una festa – si svolgeva nelle cantine, in paese – in cui si cantava, si raccontavano aneddoti. (<<”…vié a stotaràne…! Vié che te pìi i tòtari frèschi”!  Se bruschéanu su ‘a ‘racia>>, …la brace, 1935).

La vendemmia prendeva vari giorni; seguivano la raccolta delle castagne e delle olive.

In famiglia alle bambine erano riservate poi varie piccole incombenze fra cui, inevitabile, quella di sventolare davanti al fornello alimentato col carbone o davanti al fuoco.  <<Va a sventulà, sinnò se smorza!>> era l’eterno ritornello delle madri.

Per sventolare si usava una ventola di penne di gallina o di tacchino, che si comprava già pronta, ma nuova durava poco: bastava una piccola distrazione per sentire nelle fumose cucine di allora un acre odore di penne bruciate.

Inoltre le bimbe seguivano la madre che andava nel bosco a raccogliere la legna, ne componevano un fascetto adatto alla loro corporatura e lo riportavano a casa.

Al lavatoio le ragazzette cominciavano ad andare verso i dieci anni, ma più per un giocoso apprendistato che per un lavoro vero e proprio. Le madri avrebbero voluto risparmiarle e sospiravano: <<Non te mancaràu guai de fàllu!>> (Ne dovrai fare anche troppo di lavoro!), ma loro, liete di anticipare l’età adulta, prendevano una bagnaroletta di metallo, pochi panni e gli avanzi dei pezzi di sapone, ‘e scorze, perché i pezzi interi  sarebbero scivolati dalle loro mani, e si avviavano in gruppo, cantando.

Nelle ore di libertà spesso ai bambini venivano affidate <<ambasciate>> da riferire a parenti o a amici ed erano incaricati di spesucce, sale, sapone, candele, fiammiferi, il sigaro del nonno nelle rare botteghe. Se in famiglia i soldi mancavano, ci si ingegnava col baratto: fagioli in cambio di una pagnotta, due uova per il sale, cruschello per le sigarette… (<<Se avevi i fagioli, non avevi il condimento. L’olio se prendeva a mesurelle e mamma ce dicèa: “Fatt’a scolà bbè… Fatt’a scolà bbè…">>).

(Le donne facevano la spesa dopo la prima messa e mettevano tutto in un grosso fazzoletto di cotone a quadri di colori vivaci, ‘u fazzolettu ’. Le più anziane misuravano ancora la stoffa a canne).