"Un'americana a Rocca di Papa: Mary Crawford - 2"

(Una delle più antiche fotografie di Rocca di Papa...  click)

 

 

(Presentazione di Carlo, il traduttore del testo)

 

Quando ci eravamo comportati bene ci era permesso prendere dei somarelli e andare fino a Nemi, sotto lo sguardo di un contadino alto e brizzolato che ci era noto come “Oh, Ste!”. Credo che il suo nome fosse Stefano, ma dato che uno o l’altro di noi era sempre in difficoltà con un grosso asino recalcitrante (di un pallido color caffè con una croce nera sulla groppa, perché i suoi antenati avevano portato Gesù la Domenica delle Palme) il suo nome veniva invariabilmente strillato nel più selvaggio dei modi e il buon uomo non si sarebbe riconosciuto altrimenti.

Ci guidava fino alla riva del misterioso lago che giace in una profonda coppa verde e ci indicava, giù giù sott’acqua, le due grandi chiatte affondate che avevano galleggiato sulla sua superficie, piene di stendardi e di musica, quando, più di milleottocento anni prima, l’imperatore Caligola veniva qui per una vacanza. E poi c’era “l’Emissario”, un sito di interesse tragico, dove gli schiavi predestinati che lo avevano scavato per drenare le acque gonfie del lago erano tutti annegati quando l’ultimo diaframma era stato tagliato e le acque avevano invaso la galleria. Pensate cosa potesse significare tutto questo per un bambino come mio fratello! Non c’è da stupirsi che avesse fatto dell’Italia romana la sua terra d’elezione. Ci eravamo nutriti del “Latium”, eravamo impregnati del suo sole, intimoriti dalla sua forza, accesi dai suoi spiriti, fino a che quello divenne il nostro mondo, più ancora di quello di tutti i giorni. Il “mondo di oggi” ha tutti questi tesori a disposizione, ma sembra che ultimamente siamo entrati nella vera ”età oscura”, dove la miseria intellettuale è così grande da impedire alle masse di riconoscere l’oro quando lo vedono.  Non ricordo dove ci capitò di ricompensare un contadino per un servizio resoci con un pezzo d’oro. Lo guardò dubbioso per un po’ e disse: “ E’ molto carino, ma non è denaro. Preferirei del denaro, per favore”. Quando la stessa somma gli fu data in monete d’argento e di rame la prese riconoscente e se ne andò sentendosi milionario. 

I ricordi precoci di grandezza e bellezza costituiscono un capitale psicologico di cui tutti i disastri successivi non possono diminuire il valore o offuscare lo splendore e molti di questi nostri ricordi sono legati al paesello sulla roccia grigia ai piedi di Monte CavoVi passammo due lunghe estati sotto la guida geniale di Helen Salter e nelle nostre continue escursioni arrivammo a conoscere ogni pietra dei Colli Albani: da Marino a Velletri, da Genzano a Monte Porzio a Rocca Priora. È una zona  di scenari sempre vari e interessanti, dai ricchi vigneti e oliveti a valle fino alle alture ricoperte di querce e castagni; gli spazi aperti sono coperti di prati così verdi da competere con quelli dei parchi; i ruscelletti scorrono fra banchi di capelvenere e di non-ti-scordar-di-me. E in ogni luogo vantaggioso per il benessere o per la difesa sta un piccolo borgo medievale con il suo palazzo padronale, Colonna o Orsini, Sforza o Chigi o Sav(ar)elli [sic! Ndt]; fiero, isolato, ancora fortificato, con la sua grande chiesa, la piazza con la fontana, le sue piccole memorie di indipendenza e importanza.

Rocca di Papa era appartenuta alla famiglia Cenci e l’assassinio di Francesco Cenci ebbe luogo nel castello di cui ora restano soltanto poche tracce [la Fortezza non era sta ancora scavata! Ndt]. In seguito, credo, gli Orsini ebbero qui una roccaforte, ma ai miei tempi non c’era già più alcun signore feudale. Nessun grande palazzo vuoto dominava il paese e la gente aveva un carattere risoluto, meno servile di quello degli abitanti di molti di questi piccoli paesi. Avevano un costume più semplice di quello egli Albanesi ed erano molto fieri delle loro tradizioni. La grande autorità del luogo era il parroco, che teneva il suo gregge in splendido ordine, non permetteva né liti, né giochi d’azzardo né scandali. Nei “Castelli” la preoccupazione più grande era preservare le ragazze dalla cattiva strada; ho sentito il predicatore dire alle donne: “Non vi preoccupate degli uomini, sono fatti di una pasta diversa. Loro possono essere qualche volta buoni e qualche volta cattivi, ma voi no! Una donna può essere soltanto un angelo o un diavolo; non c’è via di mezzo!”. 

Le ragazze, come anche i maschi, dovevano lavorare nei campi ai piedi dei colli, in posti malsani, dove non è sicuro rimanere dopo l’imbrunire, ma dove una coppia di amanti può attardarsi inosservata. Così era stata stabilita una disciplina molto severa. All’alba le campane iniziavano a suonare e tutti quanti andavano alla messa mattutina. Quindi le ragazze formavano una processione, venivano contate e si avviavano giù per la ripida discesa, con l’ordine di procedere a due a due e di rimanere in coppia per tutto il giorno mentre attendevano ai propri lavori. Verso le quattro di pomeriggio si raggruppavano di nuovo e il parroco le aspettava all’ingresso del paese e le ricontava per essere sicuro che al calare del buio nessuna rimanesse da sola a bighellonare per strade pericolose. Mi hanno detto che se ne mancava una il buon uomo si avventurava in campagna per quattro o cinque miglia finché non la trovava e la riportava dalla madre ansiosa. Ma le altre non aspettavano la pecorella smarrita.

Su al paese c’è una “galleria”, una via ombreggiata dai castagni, tagliata nella roccia come una terrazza, che conduce a una chiesa chiamata “la Madonna del Tufo”.  Qui un giorno, centinaia di anni fa, un grande masso di tufo cadde dai fianchi del monte, ma ecco che all’improvviso si arrestò e sulla sua superficie c’era una magnifica pittura della Madonna col Bambino. Così intorno ad esso fu costruita una chiesa e ai miei tempi un eremita, un Cappuccino che aveva avuto il permesso di vivere da solo, si era installato in una celletta addossata alla parete della chiesa e si prendeva cura di tutto. Era un vecchio eremita molto simpatico, sempre sorridente e pronto a parlare con noi attraverso le sbarre. Lungo la “galleria, ogni sera, le fanciulle di Rocca di Papa si incamminavano in una lunga processione recitando in coro il rosario e, quando questo era finito, cantando l’“Ave Maris Stella”, il “Salve Regina” e altri bellissimi inni antichi. Erano ragazze buone e belle e avevano voci molto dolci. Dopo aver recitato le preghiere serali nella piccola chiesa, tornavano in paese e le loro madri le tenevano dentro, dal momento che non c’erano forse i giovanotti, questi lupi pericolosi, riuniti in gruppetti sulla piazza, che cercavano di scambiare qualche occhiata con loro? E quale uomo per bene avrebbe sposato una ragazza colpevole di aver addirittura ricambiato uno di quegli sguardi?

Nelle vicinanze c’era un convento di Povere Clarisse che tenevano una scuola gratuita per le ragazze troppo giovani per essere impiegate nei campi: insegnavano loro a cucire e a leggere, ma non a scrivere perché, dicevano, ragazze di quella classe non avrebbero mai preso una penna in mano se non  per scrivere un biglietto amoroso e ed era saggio evitare una simile insidia.

 

(Continua...)